1. UN LIBRO DEL 2013 DI SVETLANA ALEKSEIEVIC CHE SPIEGA BENISSIMO LA RUSSIA GUERRESCA DI OGGI

    By Franco Pelella il 27 Aug. 2022
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    Nel 2013 Svetlana Aleksievič, premio Nobel per la letteratura 2015, pubblicò Vremja second-hand, un libro impressionante (la traduzione italiana è Tempo di secondo mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo; Bompiani, 2014). Mediante una serie di interviste a persone comuni ella fece venir fuori un modo di pensare diffuso che spiega molto dell’atteggiamento aggressivo e guerresco che i russi stanno dimostrando attualmente. Ecco alcune delle frasi-chiave contenute nell’introduzione che sintetizzano il contenuto del libro:
    - In generale noi siamo dei militi. Quando non stavamo combattendo ci preparavamo a farlo. Non abbiamo mai vissuto in altro modo. E’ da qui che viene la nostra psicologia guerresca. Anche in tempo di pace tutto era come in guerra. [p. 9]
    - Dopo la perestrojka aspettavamo tutti l’apertura degli archivi. Li hanno aperti. Abbiamo appreso la storia della quale ci avevano tenuti all’oscuro…La gente leggeva i giornali, le riviste e taceva. Annichiliti dall’insostenibile orrore che era loro piombato addosso! Come conviverci? E così molti hanno accolto la verità come una nemica. E anche la libertà. [p. 10]
    - Credevamo che la libertà fosse una faccenda molto semplice. Non è passato molto tempo e abbiamo potuto sperimentare noi stessi quanto pesi il suo fardello, perché nessuno ci ha insegnato la libertà. Ci hanno soltanto insegnato come morire per essa. [p. 13]
    - Nella società si è manifestata una forte “domanda” di Unione Sovietica. Ha ripreso vigore il culto di Stalin. La metà dei giovani dai 19 ai 30 anni considera Stalin “un grandissimo uomo politico”. Un nuovo culto di Stalin nel paese in cui Stalin ha sterminato non meno gente di Hitler?! E’ tornato di moda tutto ciò che è sovietico. [p. 18]
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  2. Lombroso cent'anni dopo: una rassegna critica (1)

    By Franco Pelella il 21 Feb. 2022
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    Le accuse di George Mosse e Mary Gibson

    Silvano Montaldo, nel saggio introduttivo al volume Cesare Lombroso cento anni dopo, ha fatto una rassegna degli studi su Lombroso pubblicati negli anni più recenti. Egli ha riportato, tra gli altri, il giudizio dello storico americano George Mosse secondo il quale “la definizione data da Lombroso della criminalità entr[ò] a far parte della soluzione finale del problema ebraico attuata da Hitler” (2). Secondo Montaldo “Per il grande studioso del nazismo e del nazionalsocialismo, Lombroso, che non era personalmente un razzista, ma un liberale e un ebreo che sino alla morte credette alla completa assimilazione degli ebrei, ebbe un’influenza decisiva sul pensiero razziale, avendo dato una forte legittimazione a quella corrente scientifica che assumeva le caratteristiche fisiche come indizi esterni delle condizioni mentali” (3).
    Ma il discorso su Lombroso va, secondo me, impostato in modo differente da Mosse perché il fondatore dell’Antropologia criminale, per il tipo di studi che ha fatto, correva inevitabilmente il rischio di essere male interpretato. Avendo cioè egli condotto approfondite ricerche antropologiche sull’uomo delinquente (ma anche sull’uomo di genio, sui malati mentali, sulle donne, ecc.) era inevitabile che esse evidenziassero le differenze esistenti tra le varie categorie di persone studiate e all’interno delle stesse categorie e che c’era il rischio che queste differenze potessero essere strumentalizzate per attuare politiche discriminatorie. Ma va sottolineato con forza che ogni tipo di conoscenza può essere utile al genere umano e lo scienziato non deve preoccuparsi particolarmente del cattivo utilizzo che può essere fatto delle sue ricerche. Si pensi a quanta ricerca di base sarebbe stata storicamente bloccata se si fosse sempre applicata con rigidità questa logica. Chi va criticato non è lo studioso che elabora teorie i cui effetti possono essere anche, indirettamente, pericolosi per il cattivo uso che di esse possono fare gli altri uomini, ma lo scienziato che lavora direttamente e coscientemente alla produzione di strumenti di morte e di oppressione. Va condannato, ad esempio, non chi studia le possibili forme di utilizzo pacifico dell’energia nucleare ma chi progetta la bomba atomica, perché lo studio delle varie forme di utilizzo pacifico dell’energia nucleare può apportare benefici effetti all’umanità mentre la costruzione delle bombe atomiche porta sicuramente a considerevoli pericoli di distruzione del genere umano. Allo stesso modo va sicuramente condannato Gunther, che ha teorizzato l’opportunità del genocidio degli ebrei, magari prendendo spunto anche dalle teorie sulle differenze tra le razze elaborate da Lombroso, ma non Lombroso che non ha mai proposto alcuna forma discriminatoria nei confronti degli appartenenti a razze particolari e tanto meno lo ha fatto nei confronti degli ebrei essendo egli ebreo e considerando, in generale, gli ebrei come uomini di notevole li...

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  3. TRA STORIA E MORFOLOGIA. Osservazioni ad una recensione di Perry Anderson a "Storia notturna", un libro di Carlo Ginzburg (2002)

    By Franco Pelella il 7 Feb. 2022
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    Introduzione


    Storia notturna, il libro pubblicato nel 1989 dalla Einaudi, può essere senz'altro considerato l'opera più ambiziosa di Carlo Ginzburg. Con questo libro Ginzburg ha proposto una radicale reinterpretazione del sabba stregonesco dato che, secondo lui, esso non era un'invenzione degli inquisitori ma rispecchiava le più profonde strutture mitologiche della cultura popolare. Egli ha criticato gli storici che si erano concentrati sulle autorità e sulle procedure da cui aveva preso le mosse la caccia alle streghe in Europa a scapito di un'analisi delle credenze degli imputati di stregoneria. A questa tradizione Ginzburg ha contrapposto il metodo strutturalista di Lévi-Strauss, che tratta i miti come sistemi simbolici il cui significato occulto è generato da dinamiche mentali inconsce. Ma mentre Lévi-Strauss non ha dato sufficiente peso alla ricerca storica propriamente detta l'intento di Ginzburg è stato quello di combinare la morfologia e la storia del sabba in una singola ricostruzione generale .
    Storia notturna è stato pubblicato nel 1989. Subito dopo la sua pubblicazione (ma anche successivamente) questo libro ha suscitato un ampio dibattito. Numerosi e qualificati sono stati i recensori (tra gli altri Pietro Citati, Grado G. Merlo, Robert Bartlett, Giovanni Filoramo, Adriano Prosperi, Anne Jacobson Schutte, John Martin, Carlo Severi) (1) ma la mia opinione è che Storia notturna non ha suscitato il dibattito che un'opera di tal genere meritava. La vastità delle questioni teoriche e metodologiche che in essa sono state affrontate e dibattute non ha prodotto una riflessione adeguata alla loro rilevanza nè negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione del libro nè negli anni più recenti.
    Da questa personale insoddisfazione è venuta fuori l'idea di esaminare accuratamente (in un lavoro più ampio di questo) alcune di tali recensioni con l'obiettivo di far emergere sia le teorizzazioni ormai acquisite nel dibattito culturale sia, soprattutto, le questioni ancora aperte dopo l'intervento di Ginzburg. Nelle pagine che seguono tento di dimostrare praticamente qual è l'obiettivo del mio lavoro prendendo ad esempio la recensione probabilmente più acuta di Storia notturna, quella dell'eminente storico inglese Perry Anderson (2).
    La mia scelta è stata quella di utilizzare la traduzione italiana di questa recensione pubblicata dalla rivista Micromega (e la contestuale risposta di Ginzburg). Nella sua risposta Ginzburg ha discusso solo alcune questioni di ordine generale poste da Anderson ma la mia convinzione è che anche altri punti della recensione meritassero di essere affrontati data la rilevanza delle questioni poste da Anderson. Il mio sforzo è stato quello di approfondire queste tematiche.

    Il contenuto dell'opera (3)

    Il discorso di Storia notturna è diviso in tre parti. La prima si apre con la cronaca drammatica del pogrom francese del 1321 contro i leb...

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  4. PELELLA FRANCO - Una discussione con l'ingegnere Domenico Iannantuoni, del Comitato "No Lombroso" (Luglio 2014)

    By Franco Pelella il 21 Jan. 2022
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    Nel 2009, a cento anni dalla morte di Cesare Lombroso, fondatore dell’Antropologia Criminale, è stato riaperto a Torino il suo “Museo criminale”, sotto l’egida dell’Università degli Studi di Torino. Le collezioni comprendono preparati anatomici, disegni, fotografie, corpi di reato e produzioni artigianali e artistiche, anche di pregio, realizzate da internati nei manicomi e da carcerati. Secondo le note di copertina del volume a cura di Silvano Montaldo e Paolo Tappero «Il Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso”» (Utet, Torino, 2009) “Il museo, unico al mondo, non è una raccolta di strumenti di punizione, anche se ne possiede alcuni, non vuole offrire al pubblico una sequenza di grandi criminali e di delitti efferati, sebbene tratti anche della criminalità; non è un museo dell’orrore. Intende, invece, presentare il pensiero di uno scienziato fortemente interessato ai problemi della sua epoca e che fu guidato da una profonda curiosità verso il crimine e verso qualsiasi forma di devianza dalle norme della società borghese ottocentesca…”.
    A partire dal momento della sua riapertura il Museo è stato oggetto di mille polemiche. Il Comitato “No Lombroso” ne ha chiesto a più riprese la chiusura. Alcune delle accuse ai curatori del Museo sono, però, incredibili. Un esempio è quello che scrive il professore di Scienze Politiche all’Università di Padova Giuseppe Gangemi nell’articolo “Il cranio conteso di Giuseppe Villella (I parte)” (in “Foedus”, n. 38, 2014, p. 77) (www.nolombroso.org/press/FOEDUS_villella.pdf:) “…cosa rappresentano oggi i sostenitori del Museo Lombroso? Essi sono, dal punto di vista sociale, campioni rappresentativi della criminalità dei colletti bianchi (leggi della classe dirigente) convinti, allora come oggi, di essere al di sopra della legge e al di sopra dell’etica. Essi sono i rappresentanti di una categoria di criminali socialmente ben inseriti che, da un secolo e mezzo, commettono ogni tipo di reato senza dovrebbe rendere conto: depredano le risorse pubbliche (con la corruzione, l’evasione fiscale, etc.), violano le leggi (dal semplice arbitrio amministrativo alla vergognosa pedofilia), sprecano le risorse pubbliche (distribuendole tra amici e parenti o distruggendole per incompetenza); praticano forme di delinquenza finanziaria (appropriazione dei risparmi dei privati); ciononostante tutti hanno continuato e continuano a restare nei loro posti (a continuare a fare quello che hanno sempre fatto) malgrado sia più evidente che il loro stato morale non sia adeguato al ruolo che occupano. Sono espressione del ritardo culturale e politico di quelle classi dirigenti che non riconoscono o sottovalutano il problema dei reati dei “colletti bianchi”, in particolare i reati della classe dirigente scientifica o finanziaria o politica. Sono, sul piano...

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  5. FRANCO PELELLA - Nuove riflessioni sul metodo lombrosiano (2010)

    By Franco Pelella il 21 Jan. 2022
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    Il metodo galileiano e il metodo indiziario

    In un recente articolo Daniele Velo Dalbrenta afferma che sarebbe opportuno comprendere “che cosa ha reso epocali le ricerche antropologico-criminali lombrosiane, pure del tutto prive di precedenti storici, facendone una vera e propria sistematica di discipline – scientifiche, para-scientifiche e umanistiche – le quali, prima di Lombroso, non avevano conosciuto alcun completo tentativo di collegamento tra loro. Che cosa, in definitiva, può spiegare la rivoluzione antropologico-criminale, il suo impatto, subitaneo e senza precedenti, sulla stessa percezione sociale del fenomeno criminale?” (1). La sua risposta è la seguente: “…il carattere rivoluzionario dell’Antropologia criminale risiede nel metodo; più precisamente, nel metodo scientifico, e, più precisamente ancora, nel metodo messo a punto in età moderna per le scienze sperimentali, il cosiddetto metodo galileiano…” (2). La mia convinzione è invece un’altra. Secondo me il carattere rivoluzionario dell’Antropologia criminale risiedeva nell’utilizzo contemporaneo non di uno ma di due metodi innovativi: il metodo galileiano e il metodo indiziario (3). E’ stato lo stesso Daniele Velo Dalbrenta a descrivere l’utilizzo di due metodi differenti da parte di Lombroso e dei suoi allievi considerandoli, impropriamente, come un metodo unico. Dapprima egli ha scritto che “…il metodo galileiano veniva essenzialmente a consistere nell’osservazione e descrizione del fenomeno delinquenziale, il quale, rapportato immediatamente alla persona del delinquente che vi aveva dato corpo, veniva trasposto entro il mondo delle cifre, e cioè sottoposto a misurazione, classificazione, riduzione statistica mediante i dati ricavati dagli appositi strumenti di precisione” (4). Subito dopo ha precisato che Lombroso, affiancato da uno stuolo di collaboratori “…bazzicò carceri mandamentali e manicomi criminali raffrontando le risultanze emerse su organi, funzionalità, proporzioni, alterazioni fisiologiche, malformazioni e scompensi vari, traumi menomazioni, ferite, ecc., raccogliendo corpi di reato e oggetti vari (scritti, disegni, graffiti, oggetti, manufatti, suppellettili, decorazioni ecc.), ritraendo volti, tatuaggi, schemi di andature e quanto d’altro. Per annotare, confrontare, catalogare scrupolosamente tutto, ma proprio tutto il possibile” (5).
    I due metodi avevano una natura diversa l’uno dall’altro. Uno si può definire di tipo verticale in quanto era volto a studiare in modo approfondito il corpo del delinquente mediante una serie di dati e di osservazioni raccolte attraverso l’utilizzo di strumenti di misurazione vari. L’altro si può definire di tipo orizzontale in quanto era volto a raccogliere tutte le informazioni possibili sulla figura del delinquente utilizzando le fonti più svariate ma esterne al suo corpo. Vivendo in un’epoca dominata da una cultura idealistica, nella quale il pensiero scientifico faceva molta fatica ad affermarsi, è indubbio che l’utilizz...

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  6. FRANCO PELELLA - LE RADICI PREISTORICHE DELLA CIVILIZZAZIONE DEGLI ITALIANI

    By Franco Pelella il 17 Jan. 2022
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    Introduzione

    La presenza del senso civico di solito è associata con il vivere in città, nella cosiddetta civitas, ma la sua esistenza può derivare anche dalla vita rurale o montana se si vive in ambienti integrati e armoniosi. Per questo motivo la storia della civilizzazione degli italiani non deve essere fatta partire necessariamente dal Medioevo, e in particolare dalla nascita dei Comuni; prima dei Comuni nell’Italia centro-settentrionale, così come nell’Italia meridionale, ci sono stati molti secoli di storia nel corso dei quali l’agricoltura ha avuto determinate caratteristiche e i contadini hanno avuto determinati comportamenti, così come la pastorizia ha avuto certe caratteristiche e i pastori hanno avuto certi comportamenti; ma dato che agricoltura e pastorizia hanno un passato millenario, risalente alla preistoria, è necessario indagare su di esso per verificare se e come ha influenzato le caratteristiche che il comportamento sociale ha assunto nel tempo. Per fare ciò va, però, necessariamente utilizzata una prospettiva di lunga durata.
    Il termine «struttura» domina i problemi della lunga durata. Per «struttura» gli osservatori della realtà sociale intendono un’organizzazione, una coerenza, dei rapporti piuttosto stabili tra realtà e masse sociali; per gli storici, una struttura è senza dubbio connessione, architettura ma più ancora una realtà che il tempo stenta a logorare e che porta con sé molto a lungo. Talune strutture, vivendo a lungo, diventano elementi stabili per un’infinità di generazioni; esse ingombrano la storia, ne impacciano e quindi ne determinano il corso, altre si sgretolano più facilmente. Ma tutte sono al tempo stesso dei sostegni e degli ostacoli; come ostacoli esse si caratterizzano come dei limiti, in senso matematico, dei quali l’uomo e le sue esperienze non possono in alcun modo liberarsi. Si pensi alla difficoltà di spezzare certi quadri geografici, certe realtà biologiche, certi limiti della produttività, ovvero questa o quella costrizione spirituale; anche i quadri mentali sono delle prigioni di lunga durata. L’esempio più accessibile di struttura è quello del condizionamento geografico: l’uomo è condizionato per secoli da climi, vegetazioni, popolazioni animali e culture e da un equilibrio costruito lentamente dal quale non si può allontanare senza rischiare di rimettere tutto in questione. Si veda il posto della transumanza nella vita montana, la persistenza di una certa vita marinara, radicata in questo o quel punto privilegiato del litorale; si veda la durevole ubicazione delle città, la persistenza delle strade e dei traffici, la sorprendente rigidezza del quadro geografico delle civiltà (1).
    Marc Bloch scriveva nell’Apologia della storia (1969), all’interno del paragrafo «Comprendere il passato mediante il presente»: “Il nostro paesaggio rurale in alcune delle sue caratteristiche fondamentali, risale (…) a epoche assai remote. Però, per interpretare i rari documenti che ci permettono di penet...

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    Last Post by Franco Pelella il 17 Jan. 2022
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  7. Recensione del libro di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA e ALDO SCHIAVONE: Una profezia per l'Italia; Mondadori, Milano, 2021

    By Franco Pelella il 15 Jan. 2022
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    Gli storici Ernesto Galli della Loggia e Aldo Schiavone hanno scritto un libro bello, appassionato e in gran parte condivisibile sul Mezzogiorno (Una profezia per l'Italia. Ritorno al Sud; Mondadori, Milano, 2021). Secondo loro il Sud si sta virtualmente staccando dal resto della Penisola, sta diventando un altro Paese; un dato non solo incontestabile, ma ormai accettato da tutti in un silenzio che essi trovano ogni giorno più insopportabile. Nel Meridione d’Italia l’applicazione delle leggi, il funzionamento dei servizi, della scuola, della sanità, dell’amministrazione, del fisco, la qualità della convivenza civile e della vita pubblica sono diversi, sempre più diversi, e in peggio, rispetto a quelli del Centro e del Nord; l’aspetto stesso dello Stato appare mutato in quei contesti, come se avesse cambiato volto e significato. E chissà, è venuto loro da pensare, che le condizioni del Mezzogiorno non siano diventate ancora più difficili proprio da quando gli uomini e le donne della politica italiana hanno smesso di frequentarlo e di conoscerlo come invece facevano un tempo; da quando il giornalismo non ha più considerato interessante visitarlo e la cultura del Paese si è in gran parte dimenticata di che cosa esso sia stato e ora è diventato.
    Secondo loro sarebbe sciocco immaginare che dietro ogni fallimento o inadeguatezza ci sia sempre, direttamente identificabile, la delinquenza organizzata; c’è di sicuro molto altro, più impalpabile, meno cruento, ma anche situato più in profondità. Di certo, però, dietro la rovina di tutto ciò che è pubblico c’è nel Mezzogiorno qualcosa che è compatibile se non omogeneo rispetto al nocciolo duro dell’autentica mentalità criminale; qualcosa che è insieme causa (anche se non la sola) ed effetto della presenza delle vere e proprie organizzazioni camorristiche, ’ndranghetiste o mafiose in senso stretto, qualcosa che non si potrebbe definire meglio se non come una cultura diffusa dell’extralegalità. Si tratta di un insieme di modi di pensare e di comportarsi che si esprime nella forma di una radicata indifferenza verso quasi ogni norma dettata dal potere legale, di completa estraneità rispetto a ogni dimensione collettiva, a ogni comportamento conforme alle regole emanate dallo Stato; una specie di apatia – un atteggiamento tra indolenza e fastidio, pronto ad accettare anche il peggio, e a adattarvisi, pur di ricavarne qualche vantaggio personale, anche minimo – penetrata in tutti gli strati sociali, che in un certo senso fa da terreno di coltura rispetto all’illegalità vera e propria, quella dell’autentica delinquenza, perché le spiana la strada, ne è il volto non clandestino e non sanguinario, ma pur sempre complementare.
    La loro convinzione è che proprio perché siamo di fronte a un fenomeno estremamente diffuso, presente quasi in ogni istante e in ogni dove, esso in fin dei conti è anche a sua volta vulnerabile; lo si può contrastare e aggredire; a patto naturalmente che si abbia la reale intenzione d...

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    Last Post by Franco Pelella il 15 Jan. 2022
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  8. Recensione del libro di MARCO VIGNA: Brigantaggio italiano. Considerazioni e studi nell’Italia unita; Interlinea, Novara, 2020

    By Franco Pelella il 25 Dec. 2021
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    Lo storico Marco Vigna ha scritto un libro sul brigantaggio postunitario di grande interesse (Brigantaggio italiano. Considerazioni e studi nell’Italia unita; Interlinea, Novara, 2020). Giustamente Alessandro Barbero nella prefazione ha scritto che questo lavoro se non è la parola definitiva sulla storia del brigantaggio postunitario, costituirà però d’ora in poi un punto di riferimento imprescindibile per chi voglia interessarsi a questa vicenda. Secondo lui la percezione del brigantaggio meridionale postunitario nella società italiana odierna è oggetto di una inquietante operazione di stravolgimento della realtà e reinvenzione fraudolenta della memoria, che stravolge il ricordo di quella vasta e terribile ondata di violenza, le attribuisce intenzioni e motivazioni in gran parte immaginarie, e impedisce di ricavarne insegnamenti utili per capire davvero le contraddizioni irrisolte del nostro Paese.
    Per Barbero questa nuova interpretazione pretende di mettersi in continuità con un’altra e precedente reinvenzione, diffusissima nella cultura popolare, che presentava il brigantaggio, in forme edulcorate e romanticizzate, come un impulso generoso contro la povertà e la disuguaglianza, contro l’avidità della classe dirigente e l’oppressione di uno Stato lontano e indifferente. E’ un’interpretazione, quest’ultima, del tutto insufficiente a rendere conto di un fenomeno che, come dimostra in modo esauriente la poderosa ricerca di Marco Vigna, fu innanzitutto un fenomeno criminale di straordinario e gratuita ferocia; e tuttavia può avere un fondo di verità, tant’è vero che ne hanno sempre tenuto conto coloro che hanno cercato di capire le ragioni del brigantaggio meridionale, a partire dai politici e dai militari che lo hanno combattuto. Oggi, però, la memoria e anzi la celebrazione del brigantaggio sono ostaggio di un movimento neoborbonico che le inserisce in un quadro consolatorio del tutto inventato, col risultato di atrofizzarne proprio le potenzialità di critica sociale; l’enorme numero dei morti ammazzati in quegli anni è composto dalle vittime dei briganti, non solo dai morti della repressione: le cronache di quegli anni riportano ogni giorno assalti a masserie, contadini trucidati e donne violentate – dai briganti, non dai bersaglieri, come vorrebbe far credere Pino Aprile.
    Scrive Marco Vigna che lo studio del banditismo e del brigantaggio ha interessato e affaticato generazioni di studiosi, non solo storici, ma anche antropologi, sociologi, giuristi, oltre a coinvolgere politici, giornalisti e pubblicisti; in Italia, il fenomeno brigantesco è durato quantomeno dal Medioevo sino alla fine del secolo XIX e ha compreso, con maggiore o minore intensità, un poco tutte le aree geografiche, anche se ha raggiunto il suo massimo grado nel Meridione. Nonostante esista una folta bibliografia anche sul brigantaggio medievale, moderno e dell’epoca borbonica, è in particolare quello postunitario ad avere assunto un’importanza di rilievo nella storiograf...

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    Last Post by Franco Pelella il 25 Dec. 2021
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  9. Una discussione con Michele Serra a proposito della sovrappopolazione mondiale

    By Franco Pelella il 12 Dec. 2021
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    Pubblico uno scambio di opinioni avuto con Michele Serra a proposito della sovrappopolazione mondiale.

    Caro Michele Serra, Le segnalo l’articolo del demografo Alessandro Rosina pubblicato oggi all’interno dell’inserto Affari e Finanza di Repubblica. L’articolo, dal titolo “Lavoro di qualità per arginare la crisi demografica”, comincia così: “La popolazione europea si è fermata e sta entrando in fase di declino. All’inizio del 2021 vivevano nell’Unione europea poco meno di 450 milioni di persone, 312 mila in meno rispetto al 1° gennaio 2020. Il Paese che ha contribuito maggiormente a tale riduzione è stata l’Italia (-384 mila). La popolazione del pianeta continua invece ad aumentare, pur a ritmi rallentati rispetto al secolo precedente e in modo molto differenziato al suo interno. Nella seconda metà del XXI secolo la spinta della crescita demografica mondiale, sempre più limitata al continente africano, andrà progressivamente ad esaurirsi”.

    Franco Pelella - 29/11/2021


    Temo che il progressivo esaurimento “spontaneo” del boom demografico non basti a farci tirare un sospiro di sollievo. Siamo comunque già in troppi, per dirla in modo brusco, e il mio timore è che saranno le pestilenze, i cataclismi climatici e le guerre a ricondurre sapiens a un numero più ragionevole. Quanto ai dati “scorporati”, mi sembrano sempre meno rilevanti: la popolazione umana è sempre più un tutt’uno, i Paesi più ricchi e meno fertili sono naturalmente destinati a ringiovanirsi e ripopolarsi grazie all’immigrazione. I sovranisti la chiamano “sostituzione etnica”, ma è un’idea provinciale, e parecchio razzista, non solo del genere umano, anche del futuro politico e culturale del pianeta Terra.

    Michele Serra - Il Venerdì di Repubblica – 10/12/2021


    Non si tratta di tirare un sospiro di sollievo ma di essere meno allarmati di come lo è Lei per la sovrappopolazione mondiale. Più dei cataclismi vari sarà soprattutto il minor numero di figli partoriti (una tendenza in corso da parecchio) che determinerà, nei prossimi decenni, la diminuzione della popolazione mondiale.

    Franco Pelella - 10/12/2021
    Last Post by Franco Pelella il 12 Dec. 2021
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  10. RECENSIONE DELLA TESI DI DOTTORATO DI FEDERICO ESPOSITO "CLAN, POLITICA E DISCORSO PUBBLICO. LA COSTRUZIONE SOCIALE DELLA CAMORRA A PAGANI"

    By Franco Pelella il 7 Dec. 2021
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    Federico Esposito ha scritto una tesi di dottorato sul fenomeno camorristico a Pagani molto bella e accurata; non a caso a giugno di quest’anno con questo lavoro, il cui titolo è “Clan, politica e discorso pubblico. La costruzione sociale della camorra a Pagani”, ha vinto il Premio Nazionale “Amato Lamberti". La tesi ha un’ampia parte iniziale di riflessione sulle mafie in Italia analizzando in particolare i vari tipi di camorra esistenti. L’autore esamina poi, dal punto socio-economico, Pagani e l’agro nocerino-sarnese, l’emersione del fenomeno camorristico a Pagani a partire dal secondo dopoguerra fino al terremoto del 1980, la saldatura tra sistema politico e camorra negli anni ottanta, la rottura del legame tra politica e camorra alla fine degli anni Novanta e l’emersione, nel nuovo secolo, di una nuova camorra che interloquisce col mondo della politica.
    L’autore analizza molto bene i principali avvenimenti che hanno caratterizzato la seconda metà del secolo scorso e l’inizio del nuovo secolo a Pagani. Relativamente al mondo camorristico l’emersione del fenomeno Salvatore Serra (detto Cartuccia), l’uccisione del sindacalista e cuoco della Fatme Tonino Esposito Ferraioli, l’uccisione del sindaco Marcello Torre, l’affermazione di Giuseppe Olivieri (detto Saccone), lo scontro tra aderenti alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e aderenti alla Nuova Famiglia. Relativamente alla politica egli analizza la crisi della Democrazia Cristiana e il declino del leader Bernardo D’Arezzo, l’elezione a sindaco di Marcello Torre, la conquista dell’Amministrazione comunale da parte della sinistra, l’esplosione del fenomeno Alberico Gambino.
    Ma è molto utile soprattutto l’individuazione di cinque fasi principali della criminalità organizzata locale: 1) Proto-camorra (1946-1972): L’economia locale si muove intorno ai mercati ortofrutticoli, i cui processi di regolazione sono caratterizzati da forme di mediazione commerciale, anche di tipo violento. In questa fase emergono figure criminali ascrivibili al complesso universo della guapparia, generalmente riconosciuto quale terreno di incubazione del fenomeno mafioso: gli studi storici definiscono questa forma di criminalità con l’espressione «camorra rurale». Le figure - violente e non - degli ambienti della mediazione agraria risultano integrate con i ceti dominanti della comunità locale, divenendo essi stessi ceto dominante, come ampiamente osservato nei casi di Alfonso Tortora e Pasquale Stoia. L’integrazione si verifica nell’incontro clientelare tra mediazione commerciale e raccolta del consenso politico. 2) Emersione (1972-1979): Il quadro economico e produttivo muta radicalmente con le politiche di industrializzazione del territorio e con il boom edilizio. Si assiste in questo modo all’emersione di un primo gruppo a connotazione camorristica guidato da Salvatore Serra. È questa la fase in cui si compie progressivamente la trasformazione della camorra: il cosiddetto processo di mafizzazio...

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    Last Post by Aniello Olivieri il 14 Jan. 2022
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