1. PELELLA FRANCO - Una discussione con l'ingegnere Domenico Iannantuoni, del Comitato "No Lombroso" (Luglio 2014)

    By Franco Pelella il 21 Jan. 2022
     
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    Nel 2009, a cento anni dalla morte di Cesare Lombroso, fondatore dell’Antropologia Criminale, è stato riaperto a Torino il suo “Museo criminale”, sotto l’egida dell’Università degli Studi di Torino. Le collezioni comprendono preparati anatomici, disegni, fotografie, corpi di reato e produzioni artigianali e artistiche, anche di pregio, realizzate da internati nei manicomi e da carcerati. Secondo le note di copertina del volume a cura di Silvano Montaldo e Paolo Tappero «Il Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso”» (Utet, Torino, 2009) “Il museo, unico al mondo, non è una raccolta di strumenti di punizione, anche se ne possiede alcuni, non vuole offrire al pubblico una sequenza di grandi criminali e di delitti efferati, sebbene tratti anche della criminalità; non è un museo dell’orrore. Intende, invece, presentare il pensiero di uno scienziato fortemente interessato ai problemi della sua epoca e che fu guidato da una profonda curiosità verso il crimine e verso qualsiasi forma di devianza dalle norme della società borghese ottocentesca…”.
    A partire dal momento della sua riapertura il Museo è stato oggetto di mille polemiche. Il Comitato “No Lombroso” ne ha chiesto a più riprese la chiusura. Alcune delle accuse ai curatori del Museo sono, però, incredibili. Un esempio è quello che scrive il professore di Scienze Politiche all’Università di Padova Giuseppe Gangemi nell’articolo “Il cranio conteso di Giuseppe Villella (I parte)” (in “Foedus”, n. 38, 2014, p. 77) (www.nolombroso.org/press/FOEDUS_villella.pdf:) “…cosa rappresentano oggi i sostenitori del Museo Lombroso? Essi sono, dal punto di vista sociale, campioni rappresentativi della criminalità dei colletti bianchi (leggi della classe dirigente) convinti, allora come oggi, di essere al di sopra della legge e al di sopra dell’etica. Essi sono i rappresentanti di una categoria di criminali socialmente ben inseriti che, da un secolo e mezzo, commettono ogni tipo di reato senza dovrebbe rendere conto: depredano le risorse pubbliche (con la corruzione, l’evasione fiscale, etc.), violano le leggi (dal semplice arbitrio amministrativo alla vergognosa pedofilia), sprecano le risorse pubbliche (distribuendole tra amici e parenti o distruggendole per incompetenza); praticano forme di delinquenza finanziaria (appropriazione dei risparmi dei privati); ciononostante tutti hanno continuato e continuano a restare nei loro posti (a continuare a fare quello che hanno sempre fatto) malgrado sia più evidente che il loro stato morale non sia adeguato al ruolo che occupano. Sono espressione del ritardo culturale e politico di quelle classi dirigenti che non riconoscono o sottovalutano il problema dei reati dei “colletti bianchi”, in particolare i reati della classe dirigente scientifica o finanziaria o politica. Sono, sul piano sociale, ormai categorie superate dalla modernizzazione e dalla storia, sono espressione di riduzione atavistica individuale perché incompatibili con le esigenze della competizione internazionale in tempi di rapida globalizzazione”.

    Franco Pelella – 8/7/2014

    Gentile Prof. Pelella, noto con rammarico che lei non ha ben letto il saggio. Io non evinco nessuna accusa ma solo opinioni, da noi fortemente condivise, riguardo il confronto dei due libri "Lombroso e il Brigante" di Maria Teresa Milicia e "Perché Briganti" di Domenico Iannantuoni e Francesco Antonio Cefalì. Nel Saggio di Gangemi, se proprio devo fargli un appunto. viene tralasciata un'orribile frase estremamente diffamatoria scritta da Maria Teresa Milicia nel suo libro, nei confronti del nostro Comitato (pg 11). In merito alla spudorata accusa di neoborbonismo, usata come una clava del periodo neolitico da occasionali ricercatori e loro sodali, tanto per ghettizzare il nostro Comitato, le chiedo se la Città di ASSISI, la centesima che ha aderito al nostro Comitato, sia una Città di diritto dinastico dei Borbone Due Sicilie. Similmente per Lecco, Grosseto e decine e decine di altre Città del Nord Italia il cui elenco è pubblico sul nostro sito www.nolombroso.org. La verità è una sola e cioè che l'Università di Torino ha sbagliato, punto. Chieda scusa e si rimetta onestamente sulla strada del buon insegnamento. Cordialità.

    Domenico Iannantuoni – 12/7/2014

    Caro Ingegnere, mi sa che è Lei che non ha letto bene l'articolo di Gangemi. A pagina 11 c'è scritto che i sostenitori del Museo Lombroso sono "...i rappresentanti di una categoria di criminali socialmente ben inseriti che, da un secolo e mezzo, commettono ogni tipo di reato senza dovrebbe (?) renderne conto". Non è un'accusa questa? A pagina 11, poi, del libro di Maria Teresa Milicia l'unica frase che riguarda il Comitato 'No Lombroso' è la seguente: "L'infaticabile attivismo del Comitato "No Lombroso" puntava i suoi sforzi a catalizzare il consenso tramite i social network, cercando di coinvolgere personalità della cultura e dello spettacolo nella battaglia contro il Museo". Questa sarebbe "un'orribile frase estremamente diffamatoria"? Quanto all'accusa di neoborbonismo cosa c'è di spudorato nel constatare che le prese di posizione del Comitato "No Lombroso" sono simili a quelle del cosiddetto Movimento Neoborbonico? Mi sa che gli unici che state sbagliando siete voi che contestate l'"onesta" scelta di attivare un Museo per illustrare l'attività di uno scienziato che alla fine del 19° secolo era l'italiano più famoso del mondo senza prendere alcuna posizione nei suoi confronti. La saluto.

    Franco Pelella – 12/7/2014

    Invece, caro professore, sono io che ribadisco che lei non conosce il libro di Milicia dove è ben stampata questa frase: Ho scritto questo libro anche perché sono convinta che il Museo storico « Cesare Lombroso » non è un museo razzista e tanto meno sono razzisti i suoi curatori. Il Comitato “No Lombroso” non solo ha sbagliato bersaglio ma i modi, il linguaggio della protesta e il palese tentativo di mistificare la verità storica istigano all’odio gli italiani e danneggiano i calabresi, cittadini cosmopoliti di tutti i continenti. Questa è una frase altamente offensiva e diffamatoria. Un frase che offende migliaia e migliaia di Cittadini e centinaia di Istituzione che fanno parte del nostro Comitato. Se una sola delle Città del Comitato volesse querelare le Edizioni Salerno e Milicia per tale frase, incenerirebbe in un istante le presunzioni di uno sparuto gruppo di docenti che non rappresenta nè l'Università di Torino nè tantomeno il mondo accademico nazionale. Quel museo è costato diversi milioni di Eur a tutti noi contribuenti. Soldi buttati anzichè essere utilizzati per la ricerca moderna. E poi, lei mi saprebbe dire chi furono e chi sono i component del Comitato Tecnico Scientifico Museale che avrebbe dovuto studiare l'impatto che tale museo avrebbe avuto sulla cittadinanza? Sicuramente no! Quello è un museo che anche se lei definisce onesto è nato comunque "non per soldi ma per denaro" e sappiamo da dove sono giunte le spinte politiche. Poi caro Professore, se le adesioni al nostri Comitato crescono quotidianamente vorrà dire qualcosa? Lei insieme ad altri offendete oltre 120 Città, province regioni, Arcivescovi e vescovi. centinaia di vostri colleghi, migliaia e migliaia di membri del Comitato che non sono meno preparati del dott. Montaldo, del Sig. Giacobini e della Sig.ra Milicia. Davvero L'Italia è Neoborbonica nella vostra mente? Quale amenità prof. Pelella! Lombroso fu un mentecatto, il responsabile del razzismo eretto a sistema, il padre dell'olocausto. Una persona orribile, morto spiritista abbandonato da tutti i suoi colleghi. Feroce accusatore dei veri studiosi, tra i quali le cito solo il Sacchi, il quale ebbe il torto di contrastarlo indicando i veri rimedi essenziali per debellare la Pellagra e fu distrutto per volere di Lombroso che, stupido e profondamente ignorante, esigeva che tale malattia fosse legata alla decomposizione del mais e perfino alla genetica delle popolazioni venete e lombarde. Un assurdo personaggio che associò la bicicletta al delitto e il callo dei facchini alla gobba del cammello. Peccato Tolstoj non lo abbia lasciato al suo destino mentre annaspava nel laghetto della sua dacia. Non vi bastano 120 Città? Ne volete 1000? Arriveremo a mille se sarà necessario, ma non creda che il nostro Comitato sia composto da sprovveduti. La saluto sempre con stima. Mi chiamo pure a telefono se le fa piacere.

    Domenico Iannantuoni - 12/7/2014

    Caro Ingegner Iannantuoni, noto che non mi ha risposto a proposito di Gangemi. Segno che la mia osservazione era esatta. Non ho sbagliato io, poi, a proposito del libro di Maria Teresa Milicia. E' stato Lei a scrivere che la citazione che riguardava il Comitato era a pagina 11 ed io riportato la citazione che c'è in quella pagina. Lei adesso parla della citazione del Comitato che è a pagina 13. Si tratta, in effetti, di un'accusa forte che Maria Teresa Milicia fa al Suo Comitato ma essa utilizza tutto il libro per motivare questa accusa e, secondo me, lo fa bene. Il fatto, poi, che tante città aderiscano al vostro Comitato non vuol dire niente; la storia ci insegna che non basta essere in molti per avere ragione. Secondo me coloro che aderiscono non sono folli ma superficiali perché non esaminano bene il problema Lombroso. E mi sento di dire che anche Lei è superficiale perché liquida con poche battute una personalità molto complessa e sfaccettata come quella di Lombroso. L'anno scorso è uscito un libro in inglese (The Cesare Lombroso Handbook) con il quale molti studiosi di varie nazionalità hanno esaminato la figura di Lombroso da vari punti di vista, hanno espresso molte critiche ma lo hanno fatto sempre motivando bene le loro opinioni. La saluto.

    Franco Pelella – 12/7/2014

    Caro Franco, finalmente togliamo i titoli, e passo al tu se me lo concedi. Se ti riferisci alla chiusura del saggio di Gangemi, ti rispondo che io personalmente condivido al 100% ciò che lui scrive. Tu giudichi superficiali le amministrazioni di Torino, Napoli, Bari, Cosenza, Catanzaro e di altre centoventi Città d'Italia, di intere province e dell'intera Regione Calabria. Tu giudichi superficiale l'Arcivescovo metropolita di Torino Mons. Cesare Nosiglia, e altri prelati. Tu non sai quello che scrivi e che dici, perdonami. Difendi l'indifendibile ed in particolare hai una visione ottocentesca dell'Italia. Siete un gruppo sparuto di docenti che rifiuta il rispetto delle normative vigenti in Italia e nel mondo. Noto che non hai ancora avuto il coraggio di chiamarmi, fallo! Ti riscrivo il mio numero. P.S. Vedo che possiedi il libro di Milicia.

    Domenico Iannantuoni – 12/7/2014

    Caro Domenico, mi dispiace che condividi le assurde accuse di delinquenza fatte da Gangemi ai curatori del Museo Lombroso. Secondo me in questo modo ti metti oltre la necessaria razionalità che dovrebbe connotare ogni critica culturale. Credo, poi, di sapere benissimo quello che scrivo e di non avere alcuna visione ottocentesca dell'Italia. Sono solo convinto che bisogna contestualizzare nella sua epoca l'opera di Cesare Lombroso e che in essa, come in tanti altri autori, ci sono tante cose da buttare ma anche tante cose da conservare. Non a caso è in atto attualmente a livello internazionale una rivalutazione di alcuni aspetti dell'opera lombrosiana.

    Franco Pelella – 13/7/2014

    Non sono un docente. Sono un sociologo non accademico (lavoro in un Comune) e da parecchi anni studio Lombroso. Perché dovrei telefonarti? Non c'è bisogno di parlare per telefono per dirci le cose che dobbiamo dirci. E' vero, possiedo il libro di Maria Teresa Milicia. E' un reato?

    Franco Pelella – 13/7/2014

    Caro Franco, se sei un sociologo allora dovresti comprendere benissimo le ragioni della protesta che il Comitato No Lombroso incarna nei modi più disparati. La coralità di istituzioni di personalità e di cittadini che continuano ad aderire non può non lasciare sgomenti i curatori museali. Essi, secondo noi, hanno sbagliato e continuano con protervia a sbagliare. Se avessero pensato di inserire nel Comitato Scientifico museale qualche sociologo ed antropologo e qualche legale esperto di diritto veramente preparati e se avessero avuto l'accortezza di sentire il parere anche qualche storico esperto delle vicissitudini reali che il Mezzogiorno d'Italia passò negli anni lombrosiani, sicuramente non avrebbero fatto gli errori che hanno fatto. Ma si sa, gli universitari si ritengono sempre al di sopra di tutto e di tutti. Oggi lo stesso mondo delle carceri si sta moblitando contro il museo aderendo al nostro Comitato. E' questo un segnale grave che dovrebbe allarmare ancor di più l'Università degli Studi di Torino. Loro, infatti, i carcerati, sono i primi legittimati ad agire avverso il museo Lombroso poiché i resti umani ivi esposti, sono per la maggior parte di ex detenuti. Sono esposti senza alcuna valenza scientifica, tutti oggetto di refurtiva fino al 1938 sopportata ma mai accettata per iscritto dal Ministero della Giustizia come ci è stato confermato con documento specifico oltre tre anni fa dallo stesso Ministero. Oggi, certamente in modo inconsapevole, l'Università ne fa ricettazione. Esistono le normative Mibac che impongono che tutti i musei devono dimostrare il titolo di proprietà dei beni museali esposti, e ciò l'università di Torino non può dimostrarlo per ovvie ragioni. Fu questa la ragione per cui il Comune di Arcidosso (GR) ottenne la restituzione di ciò che fu di David Lazzaretti senza bisogno di una lite giudiziaria. Ma i calabresi e i laziali evidentemente valgono di meno dei toscani e quindi non hanno potuto ottenere, a semplice richiesta scritta come previsto anche dalla Norme Internazionali ICOM, la restituzione di Giuseppe Villella ed Antonio Gasbarrone. Sulla mia condivisione di quanto scritto dal prof. Gangemi non devi dispiacertene. Egli semplicemente h apreso rapidamente le distanze, lunghe distanze da chi sta gettando profondo discredito nel mondo accademico, e probabilmente il suo osservatorio gli ha permesso di prevedere una sorta di impeachment dei curatori museali. E' certo, come lo sono io, che il mondo accademico intero si schiererà con noi e i curatori museali, accademici pure loro, dovranno farsene una ragione. A Napoli all'ultima presentazione del libro di Milicia mi risulta che la sala fosse vuota. Sei studenti e sei relatori non fanno certo un convegno, no? Anche questo è un segnale che dovrebbe farti riflettere come sociologo. Vedi, l'Università ha tante possibilità e anche denari (pubblici). Ha attivato persone come Alberto Angela, Corrado Augias, giornalisti quotati, ha fatto scrivere articoli e promosso trasmissioni televisive, ha tentato approcci sui Social Network, ma ogni volta che tentato in qualche modo di promuovere l'opera lombrosiana, ha sempre ottenuto il risultato opposto a quello sperato. Se vorrai telefonarmi sarò a tua disposizione per altri approfondimenti. Per quanto riguarda il libro di Milicia ovviamente l'ho anch'io ma sappi che anche su quello vi sarebbe molto da dire e se sei amico di Milicia ella potrà narrarti della mia visita presso la sua università nel 2012 e di ciò di cui parlammo. Qui mi fermo perché io nella mia vita non ho mai voluto convincere nessuno ritenendolo una forzatura psicologica. I fatti sono quelli che contano, tutto il resto è inutile propaganda e stucchevole coreografia. Con stima.

    Domenico Iannantuoni – 13/7/2014

    Caro Domenico, i curatori del Museo Lombroso possono anche aver fatto degli errori ma sono, sicuramente, errori fatti in buona fede. Quello che è certo è che essi, quando hanno riattivato il Museo, non avevano in mente di esaltare l'opera di Lombroso né di fare un'operazione antimeridionale. La tua condivisione dell'opera di Gangemi mi dispiace solo perché, in questo modo, avalli accuse farneticanti che non hanno alcun fondamento. Il fatto che ci fossero poche persone alla presentazione a Napoli del libro di Maria Teresa Milicia non significa niente. Probabilmente ci sono stati errori organizzativi ma, in ogni caso, la qualità di un libro non si misura dalla sua popolarità. Lo so benissimo che l'opinione pubblica è in gran parte orientata in senso anti-lombrosiano ma io credo che ciò derivi, come ho già detto, da una conoscenza superficiale dell'opera di Lombroso.

    Franco Pelella – 13/7/2014
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