1. RECENSIONE DELLA TESI DI DOTTORATO DI FEDERICO ESPOSITO "CLAN, POLITICA E DISCORSO PUBBLICO. LA COSTRUZIONE SOCIALE DELLA CAMORRA A PAGANI"

    By Franco Pelella il 7 Dec. 2021
     
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    Federico Esposito ha scritto una tesi di dottorato sul fenomeno camorristico a Pagani molto bella e accurata; non a caso a giugno di quest’anno con questo lavoro, il cui titolo è “Clan, politica e discorso pubblico. La costruzione sociale della camorra a Pagani”, ha vinto il Premio Nazionale “Amato Lamberti". La tesi ha un’ampia parte iniziale di riflessione sulle mafie in Italia analizzando in particolare i vari tipi di camorra esistenti. L’autore esamina poi, dal punto socio-economico, Pagani e l’agro nocerino-sarnese, l’emersione del fenomeno camorristico a Pagani a partire dal secondo dopoguerra fino al terremoto del 1980, la saldatura tra sistema politico e camorra negli anni ottanta, la rottura del legame tra politica e camorra alla fine degli anni Novanta e l’emersione, nel nuovo secolo, di una nuova camorra che interloquisce col mondo della politica.
    L’autore analizza molto bene i principali avvenimenti che hanno caratterizzato la seconda metà del secolo scorso e l’inizio del nuovo secolo a Pagani. Relativamente al mondo camorristico l’emersione del fenomeno Salvatore Serra (detto Cartuccia), l’uccisione del sindacalista e cuoco della Fatme Tonino Esposito Ferraioli, l’uccisione del sindaco Marcello Torre, l’affermazione di Giuseppe Olivieri (detto Saccone), lo scontro tra aderenti alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e aderenti alla Nuova Famiglia. Relativamente alla politica egli analizza la crisi della Democrazia Cristiana e il declino del leader Bernardo D’Arezzo, l’elezione a sindaco di Marcello Torre, la conquista dell’Amministrazione comunale da parte della sinistra, l’esplosione del fenomeno Alberico Gambino.
    Ma è molto utile soprattutto l’individuazione di cinque fasi principali della criminalità organizzata locale: 1) Proto-camorra (1946-1972): L’economia locale si muove intorno ai mercati ortofrutticoli, i cui processi di regolazione sono caratterizzati da forme di mediazione commerciale, anche di tipo violento. In questa fase emergono figure criminali ascrivibili al complesso universo della guapparia, generalmente riconosciuto quale terreno di incubazione del fenomeno mafioso: gli studi storici definiscono questa forma di criminalità con l’espressione «camorra rurale». Le figure - violente e non - degli ambienti della mediazione agraria risultano integrate con i ceti dominanti della comunità locale, divenendo essi stessi ceto dominante, come ampiamente osservato nei casi di Alfonso Tortora e Pasquale Stoia. L’integrazione si verifica nell’incontro clientelare tra mediazione commerciale e raccolta del consenso politico. 2) Emersione (1972-1979): Il quadro economico e produttivo muta radicalmente con le politiche di industrializzazione del territorio e con il boom edilizio. Si assiste in questo modo all’emersione di un primo gruppo a connotazione camorristica guidato da Salvatore Serra. È questa la fase in cui si compie progressivamente la trasformazione della camorra: il cosiddetto processo di mafizzazione. Attorno a Serra si costituisce un gruppo mafioso organizzato e attivo nelle pratiche illecite estorsive, specie in relazione al settore delle costruzioni e negli appalti per le forniture e i servizi industriali. 3) Politicizzazione (1980-1993): Con l’avvento del terremoto del 1980 la già fragile industria conserviera locale entra in crisi, favorendo la crescente espansione del mercato edilizio. La ricostruzione post-sisma è il fulcro attorno al quale si determina la cosiddetta economia della catastrofe, incentrata sulla allocazione di ingenti finanziamenti stanziati dallo Stato centrale. La deregolamentazione politica ed economica favorisce in questo contesto pratiche illegali diffuse, in cui le camorre iniziano a rivestire un ruolo di primo piano. In particolare, nel caso di Pagani la presenza camorrista appare ancora più rilevante rispetto ad altri territori della Campania, con la progressiva costituzione del clan Olivieri-De Vivo. In tal senso, l’omicidio del sindaco Marcello Torre rappresenta l’irruzione nel campo del potere politico da parte dei clan, a tutti gli effetti attori determinanti nei processi di governo locale. 4) Arretramento (1994-2002): La fase è individuata a partire dal ridimensionamento del fenomeno camorristico, colpito da inchieste e regolamenti di conti interni ed estromesso dalla gestione politica della città di Pagani. La faida del clan Alfieri, dove perde la vita il boss Olivieri, determina un arretramento politico della camorra, favorito contestualmente da una svolta amministrativa ed elettorale che premia le sinistre dopo diversi decenni di egemonia democristiana. Nel frammentato contesto criminale, si assiste alla genesi di un nuovo gruppo camorrista, il clan Contaldo-Annunziata, in discontinuità – e poi in lotta - con il precedente sistema per il controllo del traffico e dello spaccio di stupefacenti. 5) Ri-politicizzazione (2002-2020): Il periodo si apre simbolicamente con la vittoria nella guerra di camorra degli eredi dell’organizzazione di Olivieri, rappresentati dal gruppo Fezza-D’Auria Petrosino, contro il gruppo cosiddetto delle Palazzine; contemporaneamente, si assiste alla sconfitta elettorale delle sinistre, letteralmente annientate dalla compagine di centrodestra. Emerge con forza la figura di Alberico Gambino, leader politico e assoluto protagonista di un periodo caratterizzato da illegalità sistemica nella gestione amministrativa e da una serie di inchieste su esponenti politici, imprenditori e clan. Sembra configurarsi in questa fase un rinnovato rapporto di compenetrazione tra criminalità e politica, confermato da inchieste della magistratura e dal secondo scioglimento per mafia del consiglio comunale nel 2012.
    All’interno del suo lavoro Federico Esposito si chiede poi perché i paganesi nel 2002 hanno bocciato la stagione di riscatto del centrosinistra di Antonio Donato e Isaia Sales rifiutando la spinta riformatrice delle amministrazioni degli anni Novanta e respingendo nettamente la proposta dell’avvocato Enzo Calabrese, in dichiarata continuità con l’ex sindaco Antonio Donato, preferendogli Alberico Gambino. Giustamente egli scrive che tra gli aspetti che hanno determinato la sconfitta della sinistra nel 2002 c’è stato l’isolamento con il quale la giunta ha terminato il suo mandato. Un isolamento da un lato cercato, dall’altro creato dagli oppositori. Antonio Donato era accusato dalle minoranze per il naturale gioco della politica ma contestualmente era sotto attacco anche dei dirigenti del suo partito e degli esponenti politici dei sodalizi di centrosinistra. Il suo ultimo mandato sindacale, infatti, si reggeva su una maggioranza di fedelissimi che faceva scudo davanti alle pressioni e agli interessi degli altri gruppi. Donato venne accusato di non aver costruito nel tempo una alleanza con i partiti di centrosinistra per dare continuità all’esperienza amministrativa; per questo motivo si determinò anche la rottura interna con Isaia Sales e buona parte del gruppo dirigente del Pds, ormai divenuto Ds. Ad Antonio Donato fu imputata poca lungimiranza politica: il suo era una sorta di arroccamento in difesa del mandato elettorale, ottenuto senza l’appoggio degli altri partiti di centrosinistra (aveva vinto nel 1998 contro il suo ex vicesindaco Enrico Cascone, di area popolare). Sono d’accordo su questa ricostruzione degli avvenimenti. Sulla bocciatura pesò molto la rottura degli equilibri politici dato che Donato estromise completamente dall’amministrazione alcuni rilevanti esponenti di centro (tra cui Gerardo Petti e Gaetano Califano) e il risultato fu il loro non impegno nelle elezioni del 2002. Ciò favorì la vittoria di Gambino.
    L’autore ha fatto bene anche a precisare che se la magistratura non è riuscita ad accertare la natura mafiosa del sistema Pagani ruotante attorno alla figura di Alberico Gambino i funzionari del Ministero dell’Interno hanno rilevano invece pesanti irregolarità nelle procedure amministrative e denunciato la presenza di infiltrazioni camorristiche nella gestione pubblica.
    Veniamo adesso ai pochi difetti della tesi. Essa si dilunga troppo sulla politica, perdendo parzialmente di vista il discorso sulle caratteristiche del fenomeno camorristico, e ripete spesso cose già scritte su tale fenomeno. Federico Esposito scrive poi che “Il modello della mafia come comunità è invece incentrato sulla prospettiva culturalista e dunque pone una forte attenzione sui contesti socioculturali in cui le mafie originano…Secondo questo approccio, le mafie sono espressione di codici culturali diffusi nella società più ampia. L'enfasi è posta sugli aspetti valoriali e sui tratti antropologici delle comunità su cui insiste il fenomeno mafioso. In base al paradigma dell'arretratezza, le mafie sono spiegate facendo leva sull’arcaismo sociale, economico e culturale delle aree del Mezzogiorno. Le teorie di questo filone sembrano riprendere il concetto di familismo amorale come metafora dell’arretratezza di una società rurale, patriarcale, economicamente e socialmente immobile. La mafia, dunque, non sarebbe distinguibile così dal suo contesto di riferimento diventando un tutt'uno con l'ambiente circostante. Per queste ragioni, tra l'altro, le mafie sono state a lungo derubricate a rappresentazioni folkloristiche delle comunità meridionali” (pag. 13). Non sono d’accordo. La prospettiva culturalista mi sembra l’unica capace di spiegare perché le mafie sono da secoli diffuse soprattutto in determinati territori e non in altri; non a caso nel Mezzogiorno sono molto presenti il familismo amorale ma anche il senso dell’onore, l’omertà, il patriarcato, il clientelismo mentre sono scarsamente diffusi il capitale sociale e la fiducia. Inoltre se le mafie sono un tutt’uno con l’ambiente circostante esse non possono essere considerate rappresentazioni folkloristiche delle comunità meridionali ma fenomeni sociali pienamente rappresentativi di esse. L’autore sostiene anche che “…la prospettiva culturalista…si è rivelata inadeguata a cogliere aspetti sempre più importanti per lo studio dei fenomeni mafiosi. In particolare, essa non spiega le – anzi non tiene conto delle – capacità dinamiche delle mafie di adattarsi ai contesti e di radicarsi ed espandersi anche al di fuori delle aree considerate di tradizionale insediamento” (pag. 13). Ma la capacità delle mafie di adattarsi ai contesti e di radicarsi ed espandersi anche al di fuori delle aree considerate di tradizionale insediamento è relativa; di solito i componenti delle organizzazioni mafiose (mafia, camorra e ‘ndrangheta) che non operano sul loro territorio tradizionale non riescono ad aggregare criminali provenienti dai territori dove operano ma al massimo riescono a coinvolgere persone appartenenti alla cosiddetta zona grigia (professionisti, imprenditori, politici, ecc.) Dalle indagini della magistratura emerge quasi sempre che i principali componenti delle organizzazioni mafiose trasferitesi al Nord sono provenienti da Sicilia, Campania o Calabria.
    Federico Esposito citando uno studio dello storico Franco Barbagallo, scrive che “Tra l'avvento del fascismo e la nascita della repubblica la storia della camorra cambia dunque connotati e protagonisti, in quello che sinteticamente può essere definito un passaggio dai camorristi ai guappi, con il guappo che diventa, in sostanza, “la stilizzazione del delinquente dopo la sconfitta del modello camorristico” (pag. 21). E poi aggiunge che “Nell’immaginario collettivo la figura del guappo è distinta inoltre da quella del camorrista che resta in qualche modo un oggetto del passato, ormai in declino, come si è visto anche nel primo capitolo” (pag. 71). Ma io non sono convinto che tra l'avvento del fascismo e la nascita della repubblica scompare la figura del camorrista ed emerge quella del guappo. Io credo che le due figure convivano. Anzi sicuramente la figura del guappo è antecedente a quella del camorrista; si veda il libro “Il guappo” di Monica Florio (Kairos, 2004) che fa risalire la figura del guappo ai primi secoli della dominazione spagnola a Napoli. L’autore aggiunge che “gli studi storico-sociali sulle camorre hanno accertato la natura spiccatamente criminale dei guappi di provincia. Per quanto caratterizzati da una funzione economica, essi conducono le loro attività ricorrendo spesso alla violenza e con frequenti episodi di sangue: i più noti sono gli omicidi di Antonio Spavone, detto ‘o malommo, e di Simonetti ed Esposito” (pag. 72). Ma non è vero che i guappi ricorrevano spesso alla violenza; per essi la violenza era l’ultima risorsa a cui ricorrere se non si riusciva a raggiungere gli obiettivi previsti con altri mezzi. Essi di solito ricorrevano all’intimidazione e alla capacità persuasiva derivante dalla loro forte personalità. Questa è l’immagine del guappo che ci è stata trasmessa da grandi opere teatrali come Il Sindaco del Rione Sanità di Eduardo De Filippo o dalle storie di figure locali di guappi come quelle di don Antonio Nappi di Scafati o Alfonso Tortora di Pagani (detto ‘a baligia).
    L’autore scrive anche che “La teoria della mafia imprenditrice si muove…all’interno della categoria di sviluppo economico, strettamente legata al tema dell’innovazione. È questo però un grosso limite dell’intuizione di Arlacchi. Secondo questa impostazione, infatti, il metodo violento definirebbe una innovazione nel mercato capitalistico, almeno dal punto di vista dell’agire imprenditoriale. Tuttavia, i settori economici in cui le mafie operano presentano bassi livelli di sviluppo: è riconosciuto, infatti, che le organizzazioni mafiose sono attive in settori economici dalla scarsa dotazione tecnologica e caratterizzati, tra le altre cose, da deregolamentazione e manodopera non qualificata” (pag. 35). Ma il sociologo Pino Arlacchi non ha dato alcuna valutazione positiva dell’imprenditorialità mafiosa. Egli ha sostenuto, infatti, che “Lungi dal determinare una progressiva estensione della sfera dei valori e delle condotte di tipo razionale-capitalistico, la pratica imprenditoriale dei mafiosi ha l’effetto di accrescere l’ampiezza della sfera delle attitudini arcaiche e predatorie presenti nel curriculum di questi personaggi. L’accumulazione mafiosa del capitale sta facendo riemergere nei suoi protagonisti tutta una gamma di comportamenti primitivi, che si esprimono nella tendenza sempre maggiore verso la trasformazione dei conflitti economici in guerre interfamiliari, e della competizione di mercato in vendetta e in sanguinosa lotta personale. Introducendo dosi sempre più massicce di anarchia distruttiva e di barbarie nella vita economica, politica e sociale di vaste aree territoriali e di interi settori produttivi, l’imprenditorialità dei mafiosi si sta rivelando come una delle più gravi minacce alla democrazia e allo sviluppo” (PINIO ARLACCHI: La mafia imprenditrice; Il Saggiotore, Milano, 2007, p. 22).
    Ma ci sono altre affermazioni non condivisibili nel lavoro di Federico Esposito. Egli sostiene che: 1) “Il quadro provinciale è…complesso e multiforme e smentisce, tra l’altro, la convinzione che il territorio salernitano sia meno interessato dalle pressioni mafiose rispetto ad altre aree della Campania” (pag. 57). Ma storicamente il territorio salernitano nel suo complesso, quindi non considerando solo l’agro nocerino-sarnese, è stato sempre meno caratterizzato dalla presenza mafiosa rispetto all’area napoletana e aversana; il numero dei clan presenti e il numero degli omicidi commessi è stato sempre inferiore rispetto alle suddette aree della Campania. 2) “La città di Pagani convive da decenni con fatti di sangue di diversa natura. Dalla metà degli anni Settanta e fino ai giorni nostri sono stati compiuti almeno sessanta omicidi direttamente attribuibili alla criminalità organizzata locale, senza contare quelli verificatisi in tutta l’area” (pag. 59). Ma non è corretto conteggiare solo gli omicidi commessi a partire dagli anni Settanta fino ad oggi; bisognerebbe anche evidenziare l’evoluzione che il fenomeno ha avuto nel corso del tempo sottolineando il suo progressivo declino. 3) “La città di Pagani…non gode di buona fama nemmeno sul piano della percezione pubblica. L’uso della violenza camorrista ha infatti colpito anche cittadini innocenti. Si è fatto prima cenno all’omicidio del sindaco Torre, avvenuto nel 1980. Due anni prima era stato assassinato invece un sindacalista della Cgil, Antonio Esposito Ferraioli. Più di recente, hanno perso la vita per mano camorrista l’avvocato paganese Michele Ciarlo, assassinato a Scafati nel 1996, e il tenente dei carabinieri Marco Pittoni, ucciso durante il tentativo di sventare una rapina alle poste di Pagani nel 2008. Insomma, il ricorso sistematico alla violenza sembra essere la cifra della consolidata attività delle camorre nel territorio” (pag. 60). Ma è difficile attribuire alla camorra paganese le morti dell’avvocato Michele Ciarlo e del tenente Marco Pittoni. A decretare l’uccisione dell’avvocato Ciarlo furono gli ‘Aquino-Annunziata’ di Boscoreale, che condannarono a morte l’avvocato poiché colpevole di aver difeso diversi esponenti dei clan ‘Visciano’ di Boscoreale e ‘Sorrentino’ di Sant’Egidio del Monte Albino e rivali degli Aquino-Annunziata. Il tenente Pittoni fu ammazzato da uno dei componenti di una banda di tre rapinatori provenienti da Torre Annunziata. 4) “Il divieto di [Giuseppe – ndr] Olivieri allo spaccio di droga Non [è – ndr] una scelta dettata da valori morali: essa sembra piuttosto condizionata da ragioni di carattere economico e strategico. Tuttavia, il racconto alimenta un immaginario onorifico intorno al boss paganese, che ancora al giorno d’oggi viene evocato da più parti” (pagg. 147-148). Ma Giuseppe Olivieri, alias Peppe Saccone, aveva gli atteggiamenti del guappo, non del camorrista, perciò rispettava alcuni valori morali; ciò non vuol dire che non fosse un delinquente. 5) “Nel territorio, invece, attorno alle attività del Premio [“Marcello Torre” – ndr], riprende anche vita l’esperienza del Piccolo Giornale, periodico di informazione fondato dal compianto sindaco negli anni Settanta” (pag. 249). Ma non bisogna dimenticare che a Pagani c’è stata un’altra esperienza editoriale che ha preso spunto dal Piccolo Giornale di Marcello Torre e cioè Il Piccolo Giornale di Pagani, un mensile nato
    ad aprile del 1985 e durato fino a luglio del 1996.

    Edited by Franco Pelella - 12/12/2021, 11:20
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Comments
  1. Aniello Olivieri
     
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    salve si potrebbe avere la tesi completa?
     
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