1. FRANCO PELELLA - LE RADICI PREISTORICHE DELLA CIVILIZZAZIONE DEGLI ITALIANI

    By Franco Pelella il 17 Jan. 2022
     
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    Introduzione

    La presenza del senso civico di solito è associata con il vivere in città, nella cosiddetta civitas, ma la sua esistenza può derivare anche dalla vita rurale o montana se si vive in ambienti integrati e armoniosi. Per questo motivo la storia della civilizzazione degli italiani non deve essere fatta partire necessariamente dal Medioevo, e in particolare dalla nascita dei Comuni; prima dei Comuni nell’Italia centro-settentrionale, così come nell’Italia meridionale, ci sono stati molti secoli di storia nel corso dei quali l’agricoltura ha avuto determinate caratteristiche e i contadini hanno avuto determinati comportamenti, così come la pastorizia ha avuto certe caratteristiche e i pastori hanno avuto certi comportamenti; ma dato che agricoltura e pastorizia hanno un passato millenario, risalente alla preistoria, è necessario indagare su di esso per verificare se e come ha influenzato le caratteristiche che il comportamento sociale ha assunto nel tempo. Per fare ciò va, però, necessariamente utilizzata una prospettiva di lunga durata.
    Il termine «struttura» domina i problemi della lunga durata. Per «struttura» gli osservatori della realtà sociale intendono un’organizzazione, una coerenza, dei rapporti piuttosto stabili tra realtà e masse sociali; per gli storici, una struttura è senza dubbio connessione, architettura ma più ancora una realtà che il tempo stenta a logorare e che porta con sé molto a lungo. Talune strutture, vivendo a lungo, diventano elementi stabili per un’infinità di generazioni; esse ingombrano la storia, ne impacciano e quindi ne determinano il corso, altre si sgretolano più facilmente. Ma tutte sono al tempo stesso dei sostegni e degli ostacoli; come ostacoli esse si caratterizzano come dei limiti, in senso matematico, dei quali l’uomo e le sue esperienze non possono in alcun modo liberarsi. Si pensi alla difficoltà di spezzare certi quadri geografici, certe realtà biologiche, certi limiti della produttività, ovvero questa o quella costrizione spirituale; anche i quadri mentali sono delle prigioni di lunga durata. L’esempio più accessibile di struttura è quello del condizionamento geografico: l’uomo è condizionato per secoli da climi, vegetazioni, popolazioni animali e culture e da un equilibrio costruito lentamente dal quale non si può allontanare senza rischiare di rimettere tutto in questione. Si veda il posto della transumanza nella vita montana, la persistenza di una certa vita marinara, radicata in questo o quel punto privilegiato del litorale; si veda la durevole ubicazione delle città, la persistenza delle strade e dei traffici, la sorprendente rigidezza del quadro geografico delle civiltà (1).
    Marc Bloch scriveva nell’Apologia della storia (1969), all’interno del paragrafo «Comprendere il passato mediante il presente»: “Il nostro paesaggio rurale in alcune delle sue caratteristiche fondamentali, risale (…) a epoche assai remote. Però, per interpretare i rari documenti che ci permettono di penetrare quella genesi brumosa, per porre esattamente i problemi, anzi addirittura per averne l’idea, si è dovuto soddisfare una prima condizione: osservare, analizzare il paesaggio di oggi. La storia infatti mantiene sempre legami con il presente, legami che sono molto stretti quando ci si occupa di territorio, un ambito dove le varie epoche si compongono e si fondono l’una nell’altra lasciando tracce ben visibili. L’intreccio fra il passato lontano e l’oggi, nelle forme del paesaggio, è ben chiaro: si vede nei tratturi, nei canali, nelle strade, nei pilastrini votivi posti ai quadrivi, nei cavalcavia sopra le centurie. Nonostante questo legame, e a dispetto di un territorio che condiziona gli avvenimenti in maniera determinante, la storia generale è sempre stata poco attenta ai temi del paesaggio e alla sua evoluzione”.
    Non sono d’accordo, perciò, con gli studiosi che hanno riflettuto sulle origini dei comportamenti sociali degli italiani senza adottare una prospettiva di lunga durata, senza cioè rintracciare anche nell’antico passato le ragioni economiche e sociali che li hanno condizionati costantemente. Il sociologo statunitense Robert Putnam nella sua famosa ricerca del 1993 La tradizione civica delle regioni italiane è partito dal Medioevo e dall’esperienza dei Comuni per rintracciare le origini del maggior senso civico del Centro-Nord rispetto al Sud dell’Italia mentre il più autorevole studioso del secolo scorso del senso civico in Italia, Carlo Tullio-Altan, ha fatto risalire al periodo della Controriforma l'origine delle peculiarità italiane (2). L’economista Cosimo Perrotta, che è forse lo studioso che negli ultimi anni ha più autorevolmente indagato sui motivi dell’arretratezza meridionale, ha fatto risalire tale arretratezza all’XI secolo ma egli ha anche, correttamente, sottolineato che “I fattori che hanno impedito il radicarsi di una economia commerciale nel Sud sono diversi ma chiari: la persistenza del latifondo antico, mai veramente scomparso nel Sud, che blocca la nascente cultura imprenditoriale; il terreno montuoso e povero di acque, con la conseguente assenza di un tessuto economico nell’interno della regione; il carattere periferico dell’area - che sta ai confini tra Europa occidentale, impero bizantino e saraceni del Nord Africa – che la rende teatro di incessanti lotte di conquista” (3).

    Il paesaggio (4)

    I paesi dell’arco alpino, la Pianura Padana e la penisola, percorsa da una lunga catena di monti, dovevano apparire, se visti da una altitudine di qualche decina di chilometri, sostanzialmente simili nel loro disegno da tre a cinquemila anni fa. In tale arco di temo questi paesi sono stati coinvolti in vari eventi storici ma la loro configurazione ambientale, cioè l’armonico insieme di rilievo, clima, vegetazione che dà a ciascuno di loro un aspetto particolare si è di poco alterata negli elementi di fondo. Lungo gli Appennini i bacini che frazionano i monti e agevolano il transito fra il bacino d’Arno e la Val di Chiana, in Umbria e in Sabina, si erano già svuotati della palude che li aveva ricoperti a lungo e le pianure che lambiscono la catena peninsulare ai suoi margini occidentali erano già formate. Pure i vulcani toscani e laziali erano già spenti e le aree vulcaniche erano nei secoli passati le medesime di oggi. In effetti i soli elementi della topografia che possono risultare alquanto diversi sono i profili delle coste in rispondenza alle pianure; i fiumi che scendono dai monti peninsulari, o anche da quelli della Sicilia e della Sardegna, in conseguenza dello scarico delle alluvioni, riempirono molte lagune che lambivano le coste all’interno delle quali fra VIII e VI secolo a. C. vari centri coloniali ellenici e basi mercantili etrusche e puniche stabilirono i loro scali e crearono dei delta come ad esempio quelli che formano ora le foci di Arno, Ombrone, Tevere, Volturno, Sele, Crati, Simeto.
    La fascia litorale che chiude ad oriente la Pianura Padana su
    di un fronte di 220 km è l’area ove le modificazioni della topografia originale sono state, da un paio di migliaia di anni in qua, le piú imponenti; queste modificazioni però non sono state opera della natura o per meglio dire la natura ha fornito solo il materiale (cioè le ghiaie, le arene, le argille e gli sfasciumi di ogni genere portati giú dai fiumi) che era indispensabile a compierle ma il corso dei fiumi e il profilo della costa come ora ci appaiono (in una parola la configurazione odierna della bassa pianura romagnola, polesana, veneziana e friulana) sono stati la conseguenza di disegni e iniziative umane.
    Nell’evoluzione dei panorami naturali le cose si svolgono d’abitudine molto adagio; questo lo si constata bene nel persistere da migliaia di anni del medesimo tipo di inquadramenti paesistici per le diverse zone della penisola e le isole adiacenti. Essi in Italia sono sostanzialmente i seguenti ambienti: a) regione alpina; b) Pianura Padana (ma il Po è solo il maggior fiume mentre diverse zone si riferiscono a bacini idrografici indipendenti); c) zona montana che forma l’asse del rilievo peninsulare e invade anche qualche rilievo della Sicilia nord-orientale; d) la zona peninsulare e insulare mediterranea. Lungo il suo svolgimento in direzione meridionale la catena peninsulare amplia l’ambiente dei boschi a latifoglie per alcune centinaia di km ma via via che s’insinua nel cuore del Mediterraneo l’area che distingue tale quadro si contrae in superficie e si eleva in altitudine, riducendosi nel centro della penisola ad aree di altitudine sopra i 700 metri e verso il Mezzogiorno (ad esempio sui monti lucani e calabri) alle parti più alte dei massicci, cioè al di sopra di 800-1000 metri. Buona parte della penisola è dominata da un ambiente di tipo mediterraneo, da un clima cioè caratterizzato da grandi calori ed aridità nei mesi estivi; però la prossimità del mare, che normalmente esercita un influsso mitigatore sui valori termici, non ha la capacità di vincere il calore dei mesi estivi. Il quadro ambientale pare quindi alterato di poco e solo per elementi secondari nelle ultime migliaia di anni.
    Le forme di vita pastorali sono state, anche nei secoli scorsi, meno chiuse di quel che abitualmente si ritiene. A parte il fatto che la mobilità periodica di queste società pastorali le pone frequentemente in relazione con gruppi umani la cui vita economica è diversa, gli allevamenti alpini e peninsulari, siciliani e sardi furono per forza, nei secoli scorsi, incentivatori di un mercato perché le loro produzioni di animali e di lane, di cuoio e di formaggi venivano in genere ad esorbitare i bisogni delle popolazioni pastorali ed erano richieste da molte popolazioni agricole vicine e perché a loro volta le comunità pastorali dovevano procurarsi da fuori alcune produzioni alimentari di base come i cereali.
    Questa maggior apertura però non ha implicato una selezione, da parte di quelle società, di vocazioni ambientali un po’ meno elementari. Le zone dove l’uomo, in conseguenza del suo modo di organizzarsi meno progredito, si limita a promuovere le vocazioni piú elementari sono quelle dove gli elementi del suo insediamento, delle sue colture, delle sue operosità mercantili e artigianali, delle sue vie di traffico, ecc., risultano piú fragili ed erodibili; le regioni d’Italia ove l’uomo ha continuato fino ad oggi a sentire con energia l’influsso ambientale si riducono a ritmo rapido ma sono condizioni che lasciano impronte non agevoli da togliere nella mentalità e nei costumi come si è sperimentato nei paesi del Mezzogiorno. Per il resto d’Italia si può parlare invece della elaborazione di vocazioni di natura piú complessa, cioè dotate di una maggior articolazione o piú impegnative da fare giungere a frutto; tali vocazioni richiedono un grado di dinamica economica e un ordine di istituzioni sociali abbastanza elevati perché non si limitano a una mera fruizione di quanto la terra può fornire all’alimentazione, all’abbigliamento e alle abitazioni ma investono la mobilitazione delle forze naturali per la produzione di materiali industriali e di beni d’uso o implicano relazioni di mercato e di cultura fra paesi diversi e lontani.

    Lo sviluppo economico e sociale del nord (5)

    Nella preistoria si posero in Italia le prime radici dell’agricoltura propriamente detta grazie alla sua introduzione dall’Oriente; a questo momento iniziale, da assegnarsi al Neolitico, seguirono tre grandi innovazioni: l’adozione dell’aratro, con l’impiego degli animali da tiro e del carro nell’Età del Rame e successivamente, nell’Età del Bronzo, la probabile introduzione della viti-olivicoltura e nell’Età del Ferro l’utilizzo di strumenti in tale metallo che permise l’estensione dell’uso dell’aratro anche nelle terre argillose e compatte e lo sviluppo della foraggicoltura, dell’allevamento del bestiame stabulato e della letamazione, strutture di fondo ignorando le quali è impossibile e velleitario non solo comprendere il significato dell’evoluzione successiva ma quello stesso di agricoltura. I fattori geografici si rivelarono di primaria importanza nella formazione e nello sviluppo di un assetto socio-economico e tecnologico neolitico; fu questo il caso dell’Italia settentrionale dove tale processo ebbe probabilmente nella Pianura Padana e nel suo ricco reticolo idrografico un elemento unificatore che facilitò la formazione di quell’ampia trama di contatti e relazioni che collegarono tutti gli aspetti del primo Neolitico in cui erano di volta in volta riconoscibili apporti provenienti da altre province neolitiche, che determinarono nelle varie zone esiti del tutto originali.
    Nel corso del Bronzo antico (che si colloca fra il XXIII e la metà del XVII sec. a.C.) nella zona compresa fra Piemonte e colli Euganei ci fu lo sviluppo di una nutrita serie di abitati palafitticoli in zone lacustri o comunque umide, particolarmente concentrati nell’area del lago di Garda; la grande frequenza di abitati a ridosso dei bacini lacustri o in zone umide testimonia l’importanza delle risorse idriche e le modificazioni antropiche quali la creazione di strutture di bonifica. Probabilmente il tipo di occupazione era rappresentato da un gruppo di villaggi vicini e collegati in cui la struttura socio-politica era di tipo tribale, con insiemi di comunità di villaggi gravitanti intorno ai bacini lacustri; l’uniformità dei caratteri tipici archeologici, insieme all’evidenza di collegamenti e scambi, indica una forte aggregazione fra i gruppi. In questo periodo era in uso l’aratro e le specie vegetali rivenute nei siti documentano un’agricoltura di tipo misto con l’utilizzo complementare delle diverse tipologie a seconda del loro periodo di maturazione; si coltivava anche il lino per la realizzazione di tessuti, continuava l’attività di raccolta di erbe e frutti selvatici, si allevavano ovini, caprini, suini e bovini e si cacciavano cervi, cinghiali e caprioli per consumarne la carne ed anche i prodotti secondari (cuoio, lana, corno, ecc.).
    A partire dalla media Età del Bronzo (che iniziò a metà del XVII secolo a.C. e terminò nel XIV secolo a.C.) ci fu la massima fioritura ed espansione dei siti nelle aree del lago di Garda, del Trentino e nella Pianura Padana centro orientale. In Italia centrale comparve la facies archeologica di Grotta Nuova (6) che trovò rispondenze nell’area medio tirrenica, nelle Marche, in Romagna ed in alcune zone dell’Emilia; questa ultima era influenzata culturalmente, nella parte occidentale, dalla facies ligure e dalle culture materiali dell’Europa di nord-ovest e, in quella orientale, dalle culture appenniniche dell’Italia centrale che, sul finire del Bronzo medio, determinarono tipologie ceramiche peculiari segnando un processo di omogeneizzazione della culture precedenti sia ad est che ad ovest della catena montuosa.
    La fase centrale della media Età del Bronzo, databile tra la seconda metà del XVI sec. a.C. e la prima metà di quello successivo, presenta rilevanti novità sul piano dell’occupazione del territorio; infatti in concomitanza con il momento di massima fioritura degli abitati nella zona del lago di Garda, la Pianura Padana centrale e il territorio a sud del Po, furono occupati da molti siti con caratteristiche analoghe, talmente frequenti da determinare la prima vera modifica antropica del paesaggio naturale padano che si manifestò a tre livelli: disboscamento, messa a coltura di vaste zone e adattamento localizzato della rete fluviale. Le comunità insediate in questo territorio conoscevano l’uso dell’aratro a trazione animale ed erano in grado di edificare abitati articolati che prevedevano una conoscenza costruttiva complessa e nozioni ingegneristiche nella gestione delle acque tali da rendere attuabile la costruzione di fossati, terrapieni, bonifiche con palificazioni che costituivano la base caratteristica dei cosiddetti villaggi arginati i quali mostravano, analogamente ai villaggi palafitticoli, una consapevole organizzazione spaziale, pianificata e ordinata.
    Il Bronzo recente, dal XIII alla metà del XII secolo a.C., è caratterizzato
    dallo sviluppo della facies culturale subappenninica presente in tutta la penisola, spesso in continuità con l’Appenninico, da cui deriva ma con alcune differenziazioni regionali; l’intensa circolazione dei prodotti di scambio, soprattutto metallurgici, già copiosa nel Bronzo Medio, ne permise l’estensione anche alla Toscana settentrionale, alla Romagna e al territorio bolognese. Anche l’area emiliana e, parzialmente, il Veneto risentirono dell’influenza di tale cultura che si separò, però, nettamente dagli sviluppi culturali locali del settore più nord-occidentale della penisola (Piemonte, Lombardia e Appennino emiliano occidentale) e da quelli trentini, friulani e del Carso.
    Tra la fine del Bronzo Recente e l’inizio del Bronzo Finale (metà XII-X sec. a.C.) nell’area padana centro-orientale ci fu una evidente e generalizzata interruzione insediamentale e culturale manifestata dall’abbandono di vaste aree in precedenza densamente popolate che portò ad una strategia di occupazione del territorio diversa dal quella del passato, legata alle grandi vie di traffico lungo i percorsi fluviali; in tal modo in Italia settentrionale si manifestò l’inizio di un nuovo ciclo storico durante il quale andarono delineandosi
    diversi sviluppi socio-economici, culturali ed etnici che portarono alla successiva Età del Ferro.
    L’Età del Bronzo segnò il passaggio definitivo ad un’agricoltura sedentaria, integrata da un allevamento stanziale; essa fu caratterizzata dalla colonizzazione di nuove terre e dalla distruzione sistematica della foresta a favore di campi e pascoli. L’ambiente continuò ad esercitare un influsso dominante nella scelta del materiale per la costruzione dell’abitato, anche per quanto concerneva il recupero delle risorse; il disboscamento, connesso con l’agricoltura intensiva e la costruzione delle palafitte, probabilmente provocò un notevole impatto ambientale. Gli insediamenti più diffusi, nel Bronzo Antico e Medio, furono appunto quelli palafitticoli, forme duttili di adattamento alle zone umide. Essi evidenziarono le notevoli capacità costruttive raggiunte dai carpentieri (anche se già in gran parte acquisite nel neolitico antico) e l’accurata lavorazione del legno; questo processo venne utilizzato per rendere il legno maggiormente resistente all’acqua.

    La Cultura delle Terremare (7)

    Il vocabolo “terramara” in dialetto emiliano sta per “terra marna”, cioè terra grassa, e in particolare serviva a indicare nell’Ottocento quel terreno estratto da piccoli rialzi o tumuli (alti dai 2 ai 4 metri) presenti in varie località della Pianura Padana e costituiti da depositi antropici preistorici formatisi nel corso dell’Età del Bronzo Medio e Recente (XVII-XII secolo a. C.). Per estensione il termine è passato a indicare i rispettivi abitati preistorici. Si tratta di: Villaggi generalmente quadrangolari, circondati da un argine e da un fossato: le dimensioni, durante le prime fasi del Bronzo medio, di norma non sono superiori a due ettari. Tale evidenza sembra interpretabile come il risultato di una colonizzazione della pianura da parte di comunità che sono in grado di sfruttare i suoli pesanti e argillosi grazie all’uso dell’aratro a trazione animale come pure di edificare abitati complessi con tecniche costruttive elaborate e con cognizioni di ingegneria idraulica tali da rendere possibile la realizzazione di fossati, terrapieni e bonifiche con palificazioni. […] Per quanto riguarda l’organizzazione interna degli abitati, le ricerche hanno evidenziato l’esistenza […] di un’organizzazione intensa e pianificata dello spazio (8).
    Le Terramare furono una delle più notevoli testimonianze dell’Europa dell’Età del Bronzo sia per il significato e l’abbondanza dei resti archeologici sia per la posizione geografica e culturale che esse occupavano a cavallo tra l’Europa centrale e il Mediterraneo. Esse furono di grande significato anche per ciò che riguarda le dinamiche di crescita demografica e per le tracce lasciate fino al collasso di un sistema socio-economico e politico che prosperò per più di quattro secoli. In Emilia le Terramare occupavano il territorio delimitato dal fiume Reno (ad occidente di Bologna) e il torrente Arda (ad est di Piacenza). A nord del presente corso del fiume Po esse occupavano i territori delle province di Cremona, Mantova e Verona. Cronologicamente esse possono essere collocate tra l’Età del Bronzo Medio e l’Età del Bronzo Recente. Sebbene non sia stata ancora sistematicamente formulata una definizione cronologica la seguente scomposizione (9) offre un sommario:
    Età del Bronzo Medio 1 = 1650 - 1550 a. C.
    Età del Bronzo Medio 2 = 1550 – 1450 a. C.
    Età del Bronzo Medio 3 = 1450 – 1320 a. C.
    Età del Bronzo Recente = 1320 – 1150 a. C.
    Dentro gli insediamenti lo spazio era organizzato secondo un sistema di strade perpendicolari con case dello stesso tipo e ampiezza. Le case, rialzate e costruite col legno, variavano in ampiezza da circa 60 metri quadrati nell’Età del Bronzo Medio 2, come a Montale, a circa 100 metri quadrati, come a Santa Rosa di Poviglio e a Gaggio.
    Quali erano le basi delle società terramaricole e quali furono le ragioni della loro prosperità? Sinteticamente possiamo indicare i seguenti punti:
    1. bonifiche del territorio e attenta gestione delle acque, realizzate anche attraverso forme di coordinamento territoriale;
    2. struttura razionale degli abitati, che raggiungevano spesso dimensioni ragguardevoli (fino a 10 ettari), denotando un notevole livello di coesione sociale e collaborazione;
    3. sviluppo particolare del settore agricolo (in cui svolgevano un ruolo primario la cultura cerearicola e l’allevamento bovino), delle produzioni specializzate e degli scambi, a livelli molto avanzati. Per quest’ultimo aspetto sono altamente significativi i ritrovamenti di pesi da bilancia;
    4. crescita demografica (fino a un totale di circa 150.000 persone), moltiplicarsi degli insediamenti, prosperità complessiva.
    Come già detto l’economia delle Terramare era basata su un’abbondante produzione di cereali e sull’allevamento di bestiame. Il bestiame, soprattutto bovini, era allevato ed evidentemente usato anche per usi agricoli, come testimoniato da aratri e carretti. I cani erano usati per fare la guardia al gregge mentre anche i cavalli erano allevati ma non sembra che essi fossero usati come tipo di cibo; è probabile che essi fossero usati per il trasporto e in guerra. La caccia fu di importanza molto marginale e riguardò principalmente cervi, caprioli e cinghiali.
    L’esistenza di elaborate oggetti fatti manualmente suggerisce la presenza di artigiani semi-specialisti (ceramiche, corni di cervo e prodotti tessili) e conduce a fabbri che lavoravano col bronzo; si può supporre che i secondi si dedicassero più o meno a tempo pieno alla loro attività. L’abbondanza di oggetti di bronzo, stampi per la fusione e le frequenti tracce di processi di lavorazione dei metalli suggerisce la probabile presenza, nella maggior parte dei villaggi, di un abile fabbro. Il metallo arrivava da aree distanti attraverso un complesso intreccio di traffici che garantiva anche un supplemento di beni esotici, come l’ambra per fabbricare ornamenti usati dalle signore delle emergenti classi sociali per indicare il loro status.
    Nonostante le differenze di rango identificate nelle necropoli la comunità di villaggio delle Terramare rivela un avanzato grado di integrazione sociale come testimoniato dall’organizzazione regolare ed armoniosa dei villaggi stessi. L’élite, sebbene chiaramente esistente e distinta sulla base del rango, probabilmente derivava da personaggi rilevanti dei vari gruppi parentali nei quali la comunità del villaggio era divisa; questi a loro volta comprendevano un gruppo di famiglie mononucleari che tendevano a formare l’unità di base della società.
    La comunità delle Terramare probabilmente era socialmente composta in termini di due differenti registri, uno raggruppato verticalmente dentro l’unità relazionale e l’altro orizzontale che correlava l’una all’altra le varie unità familiari così come i differenti strati che le comprendevano. L’integrazione sociale fu certamente aiutata dal pressante bisogno di portare avanti e di curare la manutenzione dei lavori pubblici: questi comprendevano l’arginamento e lo scavo, così come gli ulteriori lavori necessari per incanalare un fiume o ruscello vicino nei canali così creati; a ciò dovrebbero essere aggiunte le imponenti fortificazioni di legno e la costruzione di cancelli, ponti, pozzi e, almeno dal Bronzo Recente in poi, canali di irrigazione che portavano l’acqua dai fossati ai campi coltivati. Progetti di tale grandezza comportavano un buon livello di lavoro comune, sia costruzione che manutenzione, che fu presumibilmente portato avanti ottenendo il consenso della comunità; in altre parole la società delle Terramare sembra essere stata un organismo coesivo e armonico, i cui costituenti sociali erano altamente integrati con la comunità.
    Ma, come già detto sopra, le Terremare si caratterizzarono soprattutto per lo sviluppo dell’agricoltura; mantenere la produttività dei campi per 300 anni, arco di tempo che corrisponde all’incirca al periodo di vita della Terramara di Montale, richiese l’applicazione di tecniche agricolturali idonee a garantire i raccolti. La coesistenza nel territorio di campi e pascoli dovette pertanto includere varie pratiche il cui impiego è considerato possibile dagli studiosi sin da tempi così antichi; esistono tracce microscopiche di tali pratiche, evidenti nella alternanza di erbacee quali graminacee e cicorioidee, o nella presenza di carboni microscopici:
    • Alternanza campi-pascoli = lasciare un campo a riposo, consentendo agli animali di pascolare per uno o più anni, e poi tornare a coltivare.
    • Ignicoltura = coltivazione in aree dove la vegetazione è stata pulita con l’incendio appiccato intenzionalmente; le ceneri fertilizzano il terreno, mentre i campi più vecchi possono essere alla fine abbandonati e dedicati a pascolo.
    • Rotazione delle colture = è possibile che colture di legumi fossero alternate a quelle di cereali; il ciclo poteva prevedere una rotazione legume-cereali-maggese che migliorava le possibilità di rigenerazione e produttività dei campi; anche la coltivazione di cereali e legumi seminati assai vicini tra loro poteva essere praticata.
    • Concimazione dei campi = poteva essere praticata utilizzando lo sterco animale, ma il numero di animali non era probabilmente sufficiente a concimare tutta la superficie coltivata; altra fonte di concime, probabilmente più rilevante e testimoniata da tracce di alghe nei campioni, doveva essere il limo che poteva essere raccolto e trasportato, o che poteva giungere in posto durante episodi di esondazione.
    Se un tempo si attribuiva alla cultura romana la maggiore responsabilità delle profonde trasformazioni della naturalità avvenute nella Pianura Padana oggi lo studio sulle Terramare mostra chiaramente che una trasformazione profonda era già stata iniziata alcuni secoli prima, avviata almeno dall’Età del Bronzo. Le Terramare furono la più avanzata espressione di società nell’Italia centro-settentrionale durante il Bronzo Medio e il Bronzo Recente e la loro fine può essere collocata sulla soglia di un cambiamento epocale nella protostoria italiana, un cambiamento del quale esse furono, almeno in parte, la causa; dalla frattura sorsero trasformazioni di vasta portata dalle quali si svilupparono nuove aggregazioni socio-politiche e culturali che lasciarono il loro marchio sui secoli finali dell’Età del Bronzo.

    La Civiltà Villanoviana (10)

    Il Villanoviano è una facies della I Età del Ferro italiana che è stata oggetto di discussione fin dalla prima adozione del termine (che deriva dalla scoperta di una necropoli a incinerazione avvenuta nel 1853 a Villanova, Bologna). Sono stati discussi sia l’uso generalizzato del termine, che secondo alcuni dovrebbe essere limitato alla facies archeologica documentata a Villanova, sia, soprattutto, la ormai vecchissima questione se sia o no legittimo identificare questa cultura o facies archeologica come il precedente diretto degli etruschi di età storica. La corrispondenza quasi completa fra la distribuzione geografica del villanoviano e quella indicata dalle fonti relative all’Etruria storica dovrebbe essere un argomento decisivo in favore della legittimità di questa lettura.
    In termini archeologici il Villanoviano può essere descritto come una facies relativamente omogenea, con una estensione geografica complessiva che corrispondeva a quasi 1/3 dell’attuale territorio dell’Italia continentale, distribuita fra nord (Emilia Romagna), centro (Toscana e attuale Lazio settentrionale, parte dell’Umbria, Fermo nelle Marche) e sud (Campania, con i centri maggiori a Capua, Pontecagnano e Sala Consilina).
    Si tratta di un fenomeno archeologico complesso e qualitativamente diverso dagli altri processi regionali di definizione culturale ed etnica che compaiono nella Prima Età del Ferro, con precedenti nell’Età del Bronzo Finale; le differenze più evidenti sono l’estensione geografica complessiva, eccezionalmente ampia, associata alla discontinuità territoriale. Un’altra caratteristica specifica, senza confronti convincenti in ambienti italiani contemporanei, é la ricorrenza, agli inizi della Prima Età del Ferro, di processi di concentrazione dell’insediamento su aree omogenee di dimensioni consistenti alle quali si collegano numerosi grandi nuclei di necropoli.
    Due caratteristiche molto rilevanti accomunano il polo padano e
    quello tirrenico, anche se con correlati materiali almeno in parte diversi: entrambi sono specificamente connotati dall’emergere di strutture socio-politiche complesse, riconoscibili nell’evidenza della centralizzazione della decisione politica; nei due diversi rituali locali dell’incinerazione questo cambiamento strutturale è segnalato da elementi formali e ideologici nuovi e specifici (in Etruria meridionale) e da indicazioni di ruolo particolarmente complesse (a Frattesina). Inoltre, per entrambi abbiamo indicazioni molto
    consistenti dello sviluppo su vasta scala di attività produttive e di scambio.
    Infine un aspetto rilevante della situazione archeologica che deve essere
    preso in considerazione ai fini di questa analisi è la collocazione del problema del Villanoviano e dell’origine degli Etruschi nel contesto del Mediterraneo fra la fine del II e gli inizi del I millennio a.C. Alcuni dati significativi sono:
    - la percezione dal Mediterraneo orientale della posizione strategica dell’Italia al centro del Mediterraneo e con collegamenti diretti verso l’Europa; quindi
    la forte probabilità che fin dai secoli iniziali del II millennio a.C. il mare Adriatico
    sia stato identificato e utilizzato come la principale via naturale di comunicazione fra il Mediterraneo orientale e l’Europa.
    - Il fatto che le intense navigazioni micenee nel Mediterraneo centrale nel II
    millennio a.C. hanno rafforzato ed esteso il ruolo del territorio dell’Etruria meridionale come punto di riferimento degli scambi nell’area tirrenica. E’ probabile che l’Etruria meridionale svolgesse un ruolo significativo nel convogliare verso sud materia prima e manufatti metallici provenienti dai giacimenti dell’intera regione.
    - Il declino della presenza micenea nel Mediterraneo centrale a partire dal
    XIII sec. a. C., e l’evidenza progressivamente più consistente di navigazioni provenienti dal Mediterraneo orientale (Cipro e Fenicia), a parte la Sardegna e la Sicilia, dove si concentra l’evidenza più antica di collegamenti dalla regione cipriotalevantina, e che saranno oggetto della colonizzazione fenicia.
    Il Villanoviano segna un momento cruciale della definizione culturale e territoriale dell’Etruria, che emerge da una situazione complessiva relativamente omogenea, almeno sul piano archeologico (le diverse facies protovillanoviane). In tutte le diverse fasi del processo che portò alla comparsa del Villanoviano due fattori costantemente presenti furono l’estensione territoriale estremamente ampia e una gestione efficiente e integrata dell’ attività economica; nel corso del passaggio fra Età del Bronzo Finale e I Età del Ferro in questo quadro di progressiva definizione di entità culturali differenziate di dimensione regionale si delinearono le caratteristiche anomale del fenomeno villanoviano:
    - la configurazione interregionale;
    - la concentrazione dell’insediamento nei centri maggiori, in particolare in corrispondenza dei poli padano e tirrenico, che assicura una potenzialità di sviluppo politico ed economico senza confronti nei contesti regionali non villanoviani;
    - il primato nella produzione metallurgica e la sua circolazione internazionale.
    La forte affinità formale fra il protovillanoviano padano (Lombardia orientale e Veneto meridionale) e la facies Chiusi-Cetona (Romagna, Marche, Umbria e Toscana) è una indicazione dell’ esistenza su tutta l’area di contatti capillari e sistematici fra le comunità locali. Le relazioni sociali fra individui e gruppi e la condivisione del rituale funerario dell’incinerazione in urna biconica o ovoide con scodella-coperchio ebbero anche un importante risvolto economico, il cui punto di riferimento centrale era costituito da Frattesina e dal territorio circostante.
    ll Villanoviano si contrappose alle entità regionali locali come una entità di tipo formalmente simile ma di estensione decisamente maggiore; anche la sua comparsa simultanea in tutte le regioni potrebbe avere implicazioni dimostrative della unità e della dimensione territoriale e politica del fenomeno. Un’altra importante motivazione era probabilmente la volontà di qualificare in
    modo certo e riconoscibile i centri villanoviani come protagonisti della produzione e dello scambio, in particolare per quanto riguarda l’industria metallurgica; in altri termini, l’unità (e la sua immediata possibilità di percezione) può essere vista, in misura non trascurabile, come condizione del primato economico, minacciato dai processi locali.

    La Cultura Appenninica del Bronzo e la civilizzazione dell’Italia centrale e meridionale (11)

    Sebbene la distanza fra le due sponde della penisola centro-meridionale non superi mai 200 km la preistoria della parte orientale della penisola è assai diversa da quella occidentale a causa della dorsale appenninica e della diversa sfera di influenza: balcanica la prima, tirrenica la seconda; in ambito italico si distingue fra Italico orientale e occidentale. L’Appennino, che forma la spina dorsale della penisola, segue un corso sinuoso che da nord a sud taglia obliquamente la penisola da ovest a est e forma un confine naturale fra Italia del Nord e Italia peninsulare. E’ vero che queste longitudini sono neutralizzate dall’isolamento peninsulare dell’Italia ma la vicinanza della sponda adriatica italiana alla penisola balcanica la rende egualmente partecipe alle vicende dell’Europa orientale. E’ l’Appennino che ha fatto da diga alle svariate ondate celtiche provenienti da occidente mentre a est è stato più facile alle influenze balcaniche e veneto-emiliane raggiungere l’Italia centrale orientale e a quelle centro-meridionali penetrare nella Val Padana.
    In passato la ricerca archeologica distingueva nettamente solo la preistoria dell’Italia settentrionale da quella dell’Italia centro-meridionale ma oggi si tende invece a distinguere anche l’Italia centrale da quella meridionale e, all’interno del’Italia centrale, l’area medio-adriatica dall’area medio-tirrenica. Tutte e due le distinzioni sono importanti: quella fra Italia centrale e meridionale rende conto dell’enorme differenza fra gli sviluppi dell’Italia centrale, che portarono all’Etruria e a Roma, e quelli del meridione, che non raggiunsero lo stesso livello, nonostante gli apporti greci e fenici. La differenza può solo trovare una giustificazione nella preistoria. Relativamente alla differenza fra area medio-tirrenica e medio-adriatica l’archeologia dell’Italia centrale nota manifestazioni culturali in gran parte autonome lungo i due versanti mentre la catena appenninica assume il ruolo di limite o di zona di cerniera. La distinzione fra Est e Ovest riflette anche sfere di influenza diverse sullo stesso gruppo italide; slave e illiriche nell’area adriatica e celtiche in quella tirrenica. La stessa differenza che osserviamo nel Nord-Italia dove però la presenza della Pianura Padana ha facilitato processi di osmosi e permesso la creazione di frontiere particolarmente significative, proprio per il loro carattere culturale (Adda, Panaro).
    Il Bronzo dell’Italia centro-meridionale fu caratterizzato dallo sviluppo di un’economia pastorale di tipo transumante, dimostrata da numerosi elementi e scoperte. Questa cultura pastorale fu quella che emerse prima come Protoappenninica, poi come Appenninica e Subappenninica e infine come Civiltà italica. La configurazione dei percorsi della transumanza dai pascoli estivi appenninici ai pascoli invernali sulle due sponde della penisola (i tratturi, più tardi protetti dallo stato nel Sud) ha certamente contribuito sia a unificare molti aspetti culturali della preistoria centro e sud-italiana sia a dare agli odierni dialetti dell’Italia meridionale quella forte unità che li caratterizza. Gli archeologi hanno identificato la Cultura Appenninica come la matrice della Cultura centro-settentrionale di Villanova, e, mediante questa, della civiltà etrusca e di quella romana; essi hanno identificato il carattere eminentemente pastorale, e di tipo transumante, della cultura appenninica basandosi fra l’altro sulla somiglianza fra i bollitoi di latte della ceramica appenninica e i recipienti usati oggi dai pastori transumanti per la produzione del formaggio pecorino.
    Già nel Bronzo antico (2300-1700 a. C.) emersero quegli aspetti sociali e ideologici che erano alla base della nuova società stratificata: comunità di tipo patriarcale, il sacrificio della compagna del capo-guerriero e forme stabili di differenziazione sociale; gli antefatti diretti della società e della cultura latina, compresa la concezione dei poteri assoluti del pater familias, erano già tutti qui. In questa prima fase del Bronzo nell’Italia centrale persistevano ancora le differenze regionali originarie: sul versante adriatico emergeva la cultura metallurgica (priva però di risorse minerarie proprie) di Ripatransone; sul versante tirrenico, dopo una prima fase di proseguimento di Rinaldone (Asciano), iniziò una seconda fase (Montemerano-Scoglietto-Palidoro), in cui crebbe l’importanza delle attività estrattive e metallurgiche nella zona delle Colline Metallifere, che poi diventarono fondamentali per gli sviluppi che portarono all’Etruria e a Roma.
    Fu solo nel corso del Bronzo medio (1700-1150 a. C.) che si affermò la Cultura Appenninica e scomparve la distinzione fra Adriatico e Tirreno nonché quella fra Italia centrale e meridionale. La distribuzione dei manufatti di bronzo di questa epoca prova, secondo gli archeologi, l’esistenza di una koiné (ndr – convergenza di elementi storico-culturali) centro-italiana legata alla Cultura Appenninica e alla mobilità della transumanza; questa koiné metallurgica, a sua volta legata all’emergere dei Grandi Uomini, i cosiddetti Big Men, si esprimeva a livello linguistico nella koiné osca che come lingua scritta rifletteva per definizione un gruppo dominante. Caratteristico dell’epoca fu anche l’impatto con il mondo miceneo che a livello linguistico si rifletteva nell’importanza di questo elemento nella formazione del Latino.
    Il contesto che portò alla nascita di Roma e della sua civiltà si precisò chiaramente nel Bronzo medio; fu allora che nacquero, soprattutto sul versante tirrenico, centri destinati a durare fino alla fine della preistoria o, addirittura (è il caso di Roma), fino ai nostri giorni. Gli archeologi hanno poi notato una differenza fondamentale fra insediamenti conflittuali di altura, caratterizzati da un ordine centralizzato e da una dicotomia fra agricoltura intensiva e pastorizia transumante, e insediamenti policentrici, di tipo federativo e cooperativo, nei villaggi perilacustri della Conca Velina, dei Colli Albani e del Fucino.
    Sul piano culturale l’Italia centrale della prima fase del Bronzo medio si divideva nelle due facies di Grotta Nuova (Ischia di Castro, Viterbo), a nord del Tevere, e del Protoappenico a sud; la prima area era quella destinata alle innovazioni vincenti, che portarono all’Etruria e a Roma mentre la seconda era quella destinata a creare la Civiltà italica, che contribuì alla nascita di Roma ma nel lungo termine perse. L’Emilia orientale e la Romagna parteciparono a tutta una serie di innovazioni lessicali (vomer, laetamen, mola, ecc.), riflessi di altrettante innovazioni di tipo tecno-agricolo, che legarono queste regioni al Latino classico mentre Marche, Toscana e Lazio settentrionale furono le altre regioni che più attivamente parteciparono alla formazione della civiltà latina del Bronzo medio. Nonostante la sua partecipazione al Bronzo l’Appenninico aveva ancora un carattere essenzialmente neolitico, basato su risorse tradizionali come pietra, selce, legno, cuoio e così via. Questo fatto non solo dimostra un’ininterrotta continuità dal Neolitico ma permette anche di individuare nel conservativismo e nell’isolamento culturale i fattori che impedirono ai gruppi appenninici di lingua italica di assumere il ruolo dominante nel futuro sviluppo della penisola; quelli di lingua latina furono ben altrimenti influenzati dall’Etruria urbana e tramite questa da altre culture.
    Nel Bronzo Recente (1350-1200 a. C.) e Finale (1200-1000 a. C.) anche l’Italia centrale fu caratterizzata dalla comparsa delle facies protovillanoviane rappresentate soprattutto dal rito crematorio, con i tipici Campi di Urne (che probabilmente dal Nord delle Alpi penetrarono in tutta Italia raggiungendo la Sicilia) e dall’uso di urne biconiche per la raccolta delle ceneri oltre che dalla tipologia ceramica e metallurgica; l’Italia centrale tornò a dividersi lungo l’Appennino e l’area medio-tirrenica mostrò sempre più chiaramente il suo ruolo fondante.
    La formazione del Protovillanoviano e Villanoviano, e quindi dell’Etruria, si può attribuire all’intrusione di gruppi elitari stranieri che si imposero alle comunità autoctone, da sempre italidi; l’influenza etrusca cominciò a farsi sentire subito dopo l’affermazione di questi gruppi, soprattutto nel territorio di più denso insediamento, cioè in Toscana, mentre l’unità culturale villanoviana si rifletteva nei numerosissimi componenti lessicali che legano Emilia orientale, Romagna, Toscana, Lazio, Marche, Umbria, Abruzzi e Campania, al di là delle pur notevoli differenze di fondo. Dal punto di vista sociologico è in questo periodo che gli archeologi collocano l’inizio di una forma più complessa di comunità condotta da capi chiamata “comunità gentilizio-clientelare”, caratterizzata dal controllo di mezzi di produzione, attività artigianali e meccanismi di scambio da parte di clan e famiglie ormai stabilmente egemoni, e da una rete di rapporti di dipendenza fra queste élites e interi segmenti delle comunità; è un sistema vicino a quello feudale che sboccò nel clientelismo quale lo conosciamo dalle fonti storiche oltre che nei vistosi fenomeni di differenziazione sociale documentati dalle sepolture dell’VIII secolo. Sul piano linguistico questi rapporti sono quelli che si esprimeranno in Latino classico nella coppia patronus/cliens, e dialettalmente nei nomi del padrinaggio; dal punto di vista economico iniziò allora l’occupazione sistematica dell’ecosistema montano che portò alla separazione e contrapposizione, tipica anche dell’epoca storica, fra abitati agricoli di pianura e villaggi pastorali di sommità, dediti all’allevamento e alla transumanza, e in cui si intravvede l’origine della dicotomia che la tradizione ci ha tramandato fra Etruschi e Latini da un lato e Italici dall’altro.
    Nella prima Età del Ferro (1000-700 a. C.), anche se l’Italia centrale si presentava come la continuazione di quello che era nel Bronzo finale, la distribuzione delle facies culturali assomigliava ormai alla divisione amministrativa augustea dell’intera area. Più tardi nell’articolato sistema insediamentale dell’Italia centrale dell’VIII secolo a. C. si può già riconoscere l’organizzazione ‘paganico-vicanica’ tipica delle popolazioni italiche di età storica; dal punto di vista culturale l’Italia centrale di questo periodo continuò a presentare la dicotomia fra i due versanti. A partire dalla seconda metà del X secolo, i gruppi egemoni dell’Italia centrale iniziarono a progettare l’abbandono degli abitati minori e l’incorporazione della popolazione in grossi centri protourbani, che anticiparono le dimensioni e la stratificazione sociale interna delle città storiche. Inoltre all’espansione agricola determinata dall’introduzione degli strumenti di ferro e dal miglioramento delle tecniche agricole, tipici di aree privilegiate e innovative anche linguisticamente come l’Etruria meridionale, si opposero aree depresse come parte del Lazio antico (dal Tevere al Circeo), l’Abruzzo interno e la dorsale umbro-marchigiana, a vocazione pastorale. In questo contrasto fra aree depresse e aree innovatrici si possono anche riconoscere le condizioni per un maggiore conservatismo linguistico, ovviamente legato al ristagno culturale e tecnologico.


    NOTE

    1) Vedi BRAUDEL FERNAND - Storia e scienze sociali. La lunga durata, in ID. - Scritti sulla storia ; Oscar Mondadori, Milano, 1973, p. 65 (ed. or. in Annales E.S.C., 13e annèe, n. 4, 1958, pp. 725-753).
    2) Si veda TULLIO-ALTAN CARLO: La nostra Italia. Clientelismo, trasformismo e ribellismo dall’Unità al 2000; Egea, Milano, 2000.
    3) PERROTTA COSIMO: Cause remote e cause prossime dell’arretratezza meridionale, in D’APONTE TULLIO (a cura di): Risvegli. Scenari geopolitici di un Mezzogiorno “possibile”; Aracne, Roma, 2013, p. 161. Ma si veda anche PERROTTA COSIMO – SUNNA CLAUDIA (a cura di): L'arretratezza del Mezzogiorno. Le idee, l'economia, la storia; Bruno Mondadori, Milano, 2012
    4) Per la stesura di questo paragrafo mi sono avvalso dei seguenti testi: BONINI GABRIELLA, BRUSA ANTONIO, CERVI RINA (a cura di): Il paesaggio agrario italiano protostorico e antico. Storia e didattica, Edizioni Istituto Alcide Cervi, Gattatico (RE), 2010; DI PASQUALE GAETANO, MAZZOLENI STEFANO, MIGLIOZZI ANTONELLO, SANTINI ALESSANDRO: Il Paesaggio agrario italiano da Emilio Sereni ad oggi, in ALINOVI ABDON, SANTINI ALESSANDRO, BUONDONNO EMMA, SOVERINO FRANCESCO, VOLPE LUCIANO: Emilio Sereni. Ritrovare la memoria, Doppiavoce, Napoli, 2010; FORNI GAETANO, MARCONE ARNALDO (a cura di): Storia dell’agricoltura italiana. 1. L’età antica. 1. Preistoria, Edizioni Polistampa, Firenze, 2002; GAMBI LUCIO: I valori storici dei quadri ambientali, in Storia d’Italia, vol. 1, I caratteri originali, Giulio Einaudi Editore, Torino 1972; LE ROY LADURIE EMMANUEL: Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall'Anno Mille (ed. or. 1967), Einaudi, Torino, 1982; SERENI EMILIO: Storia del paesaggio agrario italiano, XX ed., Laterza, Bari, 2010; SERENO PAOLA: Ambiente e storia, in CAZZOLA FRANCO (a cura di): Nei cantieri della ricerca. Incontri con Lucio Gambi, CLUEB, Bologna, 1997.
    5) Per la stesura di questo paragrafo mi sono avvalso dei seguenti testi: CARRA MARIALETIZIA - Per una storia della cerealicoltura in Italia settentrionale dal Neolitico all’Età del Ferro: strategie adattive e condizionamenti ambientali. Dottorato di ricerca in archeologia. Università di Bologna. 2012; CASTELLETTI LANFRANCO: Archeobotanica dei siti palustri dell’Italia settentrionale: storia della ricerca, in “Sibrium”, XVII, 1984, pp. 139-145; CASTELLETTI LANFRANCO, TOZZI CARLO: Archeologia e ricostruzione ambientale: la situazione italiana, In Atti del Congresso della Società italiana di Ecologia, II, Giugno 1984, Padova, 1986; COCCHI GENICK DANIELA (a cura di): L’antica età del Bronzo in Italia. Atti del Congresso di Viareggio, 9-12 gennaio 1995, Octavo, Firenze, 1995; COSTANTINI LORENZO, STANCANELLI MARTA: La preistoria agricola dell’Italia centromeridionale: il contributo delle indagini archeobotaniche, in Origini, preistoria e protostoria delle civiltà antiche, Bonsignori, Roma, 1994; GUIDI ALESSANDRO, PIPERNO MARCELLO (a cura di): Italia preistorica, Laterza, Roma-Bari, 1995; NISBET RENATO: Paleobotanica, in MANNONI TIZIANO, MOLINARI ALESSANDRA (a cura di): Scienze in Archeologia, All’Insegna del Giglio, Firenze, 1990.
    6) Con il termine facies si intende una categoria descrittiva dell'insieme degli aspetti e delle caratteristiche di una classe di manufatti omogenei e, accompagnato dalla denominazione del gruppo di manufatti che identifica, il termine sostituisce un uso troppo generico del concetto di cultura.
    7) Per la stesura di questo paragrafo mi sono avvalso dei seguenti testi: BERNABO’ BREA MARIA – CARDARELLI ANDREA – CREMASCHI MAURO (a cura di): Le Terramare. La più antica civiltà padana, Catalogo della Mostra (Modena, marzo - giugno 1997), Electa, Milano 1997, pp.
    1-801; CARDARELLI ANDREA: The collapse of the Terramare Culture and growth of new economic and social systems during the late Bronze Age in Italy, in Atti del Convegno internazionale “Le ragioni del cambiamento /Reasons for change”, Roma, 15-17 giugno 2006, Scienze dell’Antichità 15, 2009, pp. 449-520; DI FRAIA TOMASO: La preistoria a scuola? Coniughiamola al presente, in SARTI LUCIA, TARANTINI MASSIMO (a cura di): Evoluzione, preistoria dell’uomo e società contemporanea; Carocci, Roma, 2007; DI RENZONI ANDREA: L’evoluzione del sistema insediativo delle terramare: alcuni casi studio, in Studi di protostoria in onore di Renato Peroni, All’Insegna del Giglio, Borgo S. Lorenzo (FI), 2006, pp. 471-484. MERCURI ANNA MARIA: La prospettiva archeobotanica per la ricostruzione del paesaggio culturale, in BONINI GABRIELLA, BRUSA ANTONIO, CERVI RINA (a cura di): Il paesaggio agrario italiano protostorico e antico. Storia e didattica. Quaderni 6,; Edizioni Istituto Alcide Cervi, Gattatico (RE), 2010; PERONI RENATO – MAGNANI PAOLO: Le Terramare. I grandi villaggi dell’età del bronzo in Val Padana. La «questio» nella storiografia classica, Nova et Vetera, Reggio Emilia, 1996.
    8) CARDARELLI ANDREA: Le età dei metalli dell’Italia settentrionale, in GUIDI ALESSANDRO, PIPERNO MARCELLO (a cura di): Italia preistorica; Laterza, Roma-Bari, 1992, pp. 376-7.
    9) Si veda la tabella presente in MERCURI ANNA MARIA, MONTECCHI MARIA CHIARA, PELLACANI GIANLUCA, FLORENZANO ASSUNTA, RATTIGHIERI ELEONORA, CARDARELLI ANDREA: Environment, human impact and the role of trees on the Po plain during the Middle and Recent Bronze Age: Pollen evidence from the local influence of the terramare of Baggiovara and Casinalbo, in “Review of Palaeobotany and Palynology”, Volume 218, July 2015, p. 232.
    10) Per la stesura di questo paragrafo mi sono avvalso dei seguenti testi: BARTOLONI GILDA: Introduzione all’etruscologia, Hoepli, Milano, 2012; BARTOLONI GILDA: La cultura villanoviana. All’inizio della storia etrusca, II ed., Carocci, Roma, 2002; BIETTI SESTIERI ANNAMARIA - Il vIllanovIano: un problema archeologIco dI storIa medIterranea, in BELLELLI VINCENZO (a cura di) - Le origini degli Etruschi. Storia Archeologia Antropologia; «L’Erma» di Bretschneider, Roma, 2012; BIETTI SESTIERI ANNAMARIA: L’Italia nell’età del bronzo e del ferro, II ed., Carocci, Roma., 2018; PALLOTTINO MASSIMO: Etruscologia, VII ed., Hoepli, Milano, 2016; TROCCHI TIZIANO: La cultura villanoviana: i caratteri generali, in POLI PAOLA, RIMONDINI RITA, SINDACO MARINA (a cura di): Muv. Museo della civiltà villanoviana. Guida al Museo, Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, Bologna, 2014; ZANINI ALESSANDRO (a cura di): Dal Bronzo al Ferro. Il II millennio a.C. nella Toscana centro-occidentale, Catalogo della mostra, Livorno 22/11/1997-31/5/1998, Pacini, Pisa, 1997.
    11) Per la stesura di questo paragrafo mi sono avvalso dei seguenti testi: ALINEI MARIO: Origini pastorali e italiche della camorra, della mafia e della ‘drangheta: un esperimento di Archeologia Etimologica, in “Quaderni di semantica”, a. XXVIII, n. 2, dicembre 2007; ALINEI MARIO: Pastori, allevatori, guerrieri, ambasciatori ed altro. Il contributo della cultura Appenninica del Bronzo alla formazione del latino e dei dialetti italiani, in
    www.academia.edu/12218801/Pastori_...letti_italiani; BARKER GRAEME: Landscape and society. Prehistoric Central Italy, Academic Press, London - New York, 1981; FORNI GAETANO: Gli albori dell'agricoltura. Origine ed evoluzione fino agli Etruschi ed Italici, REDA, Roma, 1990; GUIDI ALESSANDRO: Le età dei metalli nell'Italia centrale e in Sardegna, in GUIDI ALESSANDRO, PIPERNO MARCELLO (a cura di): Italia preistorica, Laterza, Roma-Bari, 1995; PERONI RENATO: L'Italia alle soglie della storia, Laterza, Bari, 1996; PUGLISI SALVATORE: La Civiltà Appenninica, Sansoni, Firenze, 1959; TORELLI MARIO: La società etrusca. L'età arcaica, l'età classica, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1987; TRUMP DAVID HILARY: L'Italia centro-meridionale prima dei Romani, Il Saggiatore, Milano, 1996 (ed. or. 1966).

    Edited by Franco Pelella - 7/2/2022, 23:04
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