1. TRA STORIA E MORFOLOGIA. Osservazioni ad una recensione di Perry Anderson a "Storia notturna", un libro di Carlo Ginzburg (2002)

    By Franco Pelella il 7 Feb. 2022
     
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    Introduzione


    Storia notturna, il libro pubblicato nel 1989 dalla Einaudi, può essere senz'altro considerato l'opera più ambiziosa di Carlo Ginzburg. Con questo libro Ginzburg ha proposto una radicale reinterpretazione del sabba stregonesco dato che, secondo lui, esso non era un'invenzione degli inquisitori ma rispecchiava le più profonde strutture mitologiche della cultura popolare. Egli ha criticato gli storici che si erano concentrati sulle autorità e sulle procedure da cui aveva preso le mosse la caccia alle streghe in Europa a scapito di un'analisi delle credenze degli imputati di stregoneria. A questa tradizione Ginzburg ha contrapposto il metodo strutturalista di Lévi-Strauss, che tratta i miti come sistemi simbolici il cui significato occulto è generato da dinamiche mentali inconsce. Ma mentre Lévi-Strauss non ha dato sufficiente peso alla ricerca storica propriamente detta l'intento di Ginzburg è stato quello di combinare la morfologia e la storia del sabba in una singola ricostruzione generale .
    Storia notturna è stato pubblicato nel 1989. Subito dopo la sua pubblicazione (ma anche successivamente) questo libro ha suscitato un ampio dibattito. Numerosi e qualificati sono stati i recensori (tra gli altri Pietro Citati, Grado G. Merlo, Robert Bartlett, Giovanni Filoramo, Adriano Prosperi, Anne Jacobson Schutte, John Martin, Carlo Severi) (1) ma la mia opinione è che Storia notturna non ha suscitato il dibattito che un'opera di tal genere meritava. La vastità delle questioni teoriche e metodologiche che in essa sono state affrontate e dibattute non ha prodotto una riflessione adeguata alla loro rilevanza nè negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione del libro nè negli anni più recenti.
    Da questa personale insoddisfazione è venuta fuori l'idea di esaminare accuratamente (in un lavoro più ampio di questo) alcune di tali recensioni con l'obiettivo di far emergere sia le teorizzazioni ormai acquisite nel dibattito culturale sia, soprattutto, le questioni ancora aperte dopo l'intervento di Ginzburg. Nelle pagine che seguono tento di dimostrare praticamente qual è l'obiettivo del mio lavoro prendendo ad esempio la recensione probabilmente più acuta di Storia notturna, quella dell'eminente storico inglese Perry Anderson (2).
    La mia scelta è stata quella di utilizzare la traduzione italiana di questa recensione pubblicata dalla rivista Micromega (e la contestuale risposta di Ginzburg). Nella sua risposta Ginzburg ha discusso solo alcune questioni di ordine generale poste da Anderson ma la mia convinzione è che anche altri punti della recensione meritassero di essere affrontati data la rilevanza delle questioni poste da Anderson. Il mio sforzo è stato quello di approfondire queste tematiche.

    Il contenuto dell'opera (3)

    Il discorso di Storia notturna è diviso in tre parti. La prima si apre con la cronaca drammatica del pogrom francese del 1321 contro i lebbrosi e gli ebrei, accusati di avvelenare i pozzi in un complotto contro la cristianità orchestrata dal musulmano «re di Granada». Si passa, poi, al 1348 e al massacro degli ebrei quali agenti di una congiura per diffondere la peste, vicenda svoltasi più ad est, verso le Alpi; in entrambi i casi confessioni di fantastiche iniquità sono estorte con la tortura. Nel 1380 l'Inquisizione dà la caccia agli eretici valdesi sul versante alpino meridionale; poco tempo dopo, sostiene Ginzburg, le paure ossessive che agiscono in queste persecuzioni contro successivi gruppi marginali si condensano e si spostano in direzione di una nuova setta praticante la stregoneria nelle regioni alpine. Affiorano adesso altri temi sinistri, assenti dalle confessioni precedenti. Intorno al 1440 l'incubo del sabba, con tutti i suoi elementi - diabolismo, antropofagia, metamorfosi animali, volo notturno, promiscuità - è ormai germogliato nell'immaginario cristiano.
    Ginzburg non racconta le vicende successive. Interrompendo qui la sua esposizione storica passa direttamente al significato di ciò che definisce «il nucleo folklorico» del sabba, identificato con i motivi del volo notturno e della trasmutazione animalesca.
    La seconda parte della Storia notturna investiga l'archeologia di questi motivi. Dietro le credenze popolari confluite nell'immagine composita del sabba essa segnala tre origini culturali: esperienze estatiche (femminili) di una dea della notte circondata da animali; analoghe esperienze (maschili) di un combattimento notturno per assicurare la fertilità o la prosperità; processioni rituali (maschili) con maschere di animali. Ginzburg rintraccia ognuno di questi fenomeni attraverso distanze temporali e geografiche formidabili, partendo dalla Grecia arcaica e dalla Gallia gallo-romana: il primo in Lombardia, Scozia, Sicilia, Renania; il secondo in Lettonia, Dalmazia, Ungheria, Romania, Finlandia, Corsica, Caucaso; il terzo in Germania, Bulgaria, Ucraina. Ma, nonostante ogni sorta di varianti esotiche, tutti tradiscono una fonte comune: il viaggio all'oltretomba intrapreso nell'estasi sciamanica; il viaggio dei vivi nella terra della morte, simboleggiato da queste pratiche nel corso di migliaia d'anni, costituisce il nucleo clandestino del sabba che prese forma alla fine del Medioevo.
    Nella terza parte del libro Ginzburg esamina le possibili spiegazioni dell'unità morfologica di un folklore diffuso fin nel cuore della Siberia e del Turkestan . Comincia ipotizzando una sua derivazione dalle migrazioni nomadiche straripate nell'VIIl secolo avanti Cristo dall'Asia Centrale, portando gli Sciti - una popolazione iranica - nel Caucaso e nelle steppe a nord del Mar Nero dove essi vennero in contatto con i mercanti e i coloni greci, che assorbirono certi tratti sciamanici della loro cultura. Nel Vl secolo contingenti sciti penetrarono a sud stabilendosi nella Dobrugia, dove dominarono una popolazione locale tracia, e dove successivamente si registrarono insediamenti celti. Ginzburg si chiede se può essere stata questa regione scitica il sito originario di una sintesi culturale che fuse elementi mitologici appartenenti alle tre popolazioni in un substrato millenario di credenze e di usanze, capace di diffondersi da un capo all'altro del continente e sopravvissuto nel profondo della memoria folklorica dall'età di Erodoto a quella di Galileo, se non oltre. Egli si chiede, inoltre, se le singolari affinità dell'arte di «stile animalistico» con forme ornamentali diffuse dalla Cina alla Scandinavia in un continuum in cui spicca l'impronta scitica, attestano connessioni storiche paragonabili. Dopo essersi soffermato sulla plausibilità di queste ipotesi Ginzburg addita il limite di tutte le spiegazioni diffusionistiche, che lasciano senza risposta il quesito del perché il contatto esterno tra società porterebbe alla riproduzione interna delle forme dell'una e dell'altra. Il problema posto dalla persistenza nel tempo e nello spazio di motivi sciamanici può essere risolto, egli conclude, soltanto postulando l'esistenza di generali caratteristiche strutturali della mente umana.
    Per tentare di dimostrare l'esistenza di queste caratteristiche Ginzburg passa ad esaminare miti e riti in cui compare la zoppaggine. Del «motivo» della zoppaggine si occupò Claude LéviStrauss, che lo riferì al cambiamento delle stagioni ma, confutando questa interpretazione, Ginzburg cerca (in prima istanza) nella mitologia greca ogni manifestazione di una categoria più profonda che chiama della «asimmetria deambulatoria», categoria in cui la zoppaggine è solo una variante, insieme alla gamba ferita, al piede perforato, al tallone vulnerabile, al sandalo mancante. Questo motivo ricorre in Edipo, Perseo, Giasone, Dioniso, Achille, Filottete, Empedocle e in uno stuolo di altri personaggi; come pure in Cenerentola, la più diffusa di tutte le fiabe popolari, e nella cinese danza della gru. Secondo Ginzburg il suo significato simbolico è un viaggio nel mondo dei morti ma, egli sostiene, se la presenza ovunque di questo motivo appartiene a una mitologia eurasiatica unitaria esso è ancorato ad una esperienza umana universale, «l'autorappresentazione del corpo».
    Sostiene Ginzburg che l'asimmetria deambulatoria è il significato privilegiato del contatto con la morte perché tutti gli esseri viventi hanno forma simmetrica e fra di essi gli umani sono specificamente bipedi. Secondo lui la menomazione della capacità di camminare equivale a immergere un piede metaforico nelle acque dell'estinzione . C'è, dunque, un fondamento ontologico nella simbolizzazione del viaggio oltre l'esperienza umana, nel mondo abitato dai morti; i miti dettano i limiti della propria variazione perchè sono condizionati dalle strutture formali dell'immaginazione.
    La Storia notturna termina con una breve «Conclusione». Qui Ginzburg suggerisce che se l'immagine del sabba stregonesco potè fondere così efficacemente ossessioni clericali dall'alto e miti folklorici dal basso ciò avvenne in parte perchè nelle une e negli altri era presente una comune paura della cospirazione, la cui forma popolare era la credenza che i morti recenti fossero animati da rancore verso chi ancora viveva. Forse, egli ipotizza, nelle trances o estasi c'era anche un fattore psicotropico (segale o funghi allucinogeni). Ginzburg conclude sostenendo che i miti che confluirono nel sabba convergevano tutti nell'idea di un viaggio temporaneo nell'aldilà , di un'andata nel mondo dei morti e di un ritorno fra i vivi e che la persistenza di questo tema in «società diversissime, basate sulla caccia, l'allevamento, l'agricoltura», può avere un spiegazione semplice ma fondamentale: il viaggio fra i morti «non è un racconto fra i tanti ma la matrice di tutti i racconti possibili».

    Il prologo di Perry Anderson

    Perry Anderson, dopo aver riassunto il contenuto di Storia Notturna, fa ampie lodi a Ginzburg. Egli scrive: «li libro di Ginzburg è senza dubbio una prova di straordinaria maestria. E' difficile citare un altro storico che unisca tanta e così molteplice erudizione culturale, una tale capacità di analisi testuale e visiva, e intenti teorici così alti - per non parlare del talento letterario. Il risultato è un'opera vertiginosamente suggestiva, certo destinata a conquistare un pubblico numerosissimo» (4). Ma subito dopo egli aggiunge «Renderle giustizia criticamente, tuttavia, può rivelarsi non tanto semplice. Storia Notturna, con tutte le sue doti eccezionali, pone infatti una serie di difficili problemi, riguardo ai metodi adottati, alle conclusioni raggiunte e alla prospettiva suggerita» (5).
    Scrive Anderson che Ginzburg, all'inizio del libro, afferma che il procedimento seguito è stato ispirato da un commento di Ludwig Wittgenstein al Ramo d'oro di James George Frazer (6). Non è detto, osserva Wittgenstein, che i materiali mitologici debbano essere esposti storicamente (come aveva fatto Frazer, situandoli in una sequenza evolutiva) ; si può darne altrettanto bene una «rappresentazione perspicua»; cioè, spiega, «ordinando i dati in modo da passare agevolmente da una parte all'altra», e così «vedere le connessioni» (7). Donde, continua Wittgenstein , «l'importanza di trovare anelli intermedi» (8).
    Anderson sostiene che la giustificazione teorica del tipo di morfologia che Ginzburg andava cercando stava anche in un saggio dell'antropologo inglese Rodney Needham (9). Secondo Anderson Needham distingueva tra classificazione monotetica e classificazione politetica. Per Needham mentre la classificazione monotetica richiede la presenza di almeno un tratto comune nella classe identificata la classificazione politetica esige soltanto che ciascun membro dell'insieme esibisca un gran numero della gamma di tratti rilevanti e che questi tratti siano presenti in un gran numero di membri.
    Ma Anderson sottolinea che nel sostenere l'importanza di questo genere di çlassificazione per le scienze sociali Needham introduce, nondimeno, una duplice riserva. Egli scrive che è l'esempio delle scienze naturali, in cui il metodo è stato dapprima impiegato, a convalidare il metodo stesso: ma in quella sede le risultanze della tassonomia batterica indicano che esso non fa, in definitiva, molta differenza perché un nucleo monotetico di proprietà comuni appare comunque nelle classi politetiche. D'altro canto, mentre in natura ci sono particolari empirici distinti - elementi e particelle - in base ai quali si possono costruire indiscutibilmente delle classi, nella società umana simili unità suscettibili di essere isolate non esistono. Per far fronte a questa difficoltà Needham postula certi «fattori primari dell'esperienza umana» quali fattori basilari su cui si fonderebbe la possibilità di una classificazione politetica in antropologia (10). Ma avverte che quest'ultima rimane un concetto vago, mancandole una definizione rigorosa di cosa debba intendersi per «gran numero», vuoi di caratteristiche o di membri (11).

    Le critiche di Anderson, le risposte di Ginzburg e le mie

    A - I fattori primari di esperienza - Ginzburg .... rifiuta i fattori primari di esperienza di Needham, giudicandoli un concetto troppo affine agli archetipi junghiani. Ma non fornisce in loro vece alcun elemento alternativo di carattere formalmente paragonabile (12).
    P - Ginzburg, nella replica che ha seguito la recensione, sullo stesso numero di Micromega, non ha risposto a questa osservazione ma in Storia notturna aveva fornito un'alternativa, che io ritengo convincente, ai "fattori primari d'esperienza". Egli aveva sostenuto, a proposito della diffusione transculturale dei miti e dei riti imperniati sull'asimmetria deambulatoria, che essa aveva «....verosimilmente la sua radice psicologica in questa percezione elementare, minima, che la specie umana ha di sé stessa - della propria immagine corporea. Ciò che altera quest'immagine, su un piano letterale o metaforico, appare quindi particolarmente adatto a esprimere un'esperienza oltre i limiti dell'umano: il viaggio nel mondo di morti, compiuto in estasi o attraverso i riti d'iniziazione. Riconoscere l'isomorfismo di questi tratti non significa interpretare in maniera uniforme un complesso così disparato di miti e riti. Significa però ipotizzare l'esistenza di nessi prevedibili.... Con ciò la nozione di archetipo viene riformulata in maniera radicale, perché saldamente ancorata al corpo. Più precisamente, alla sua autorappresentazione. Si può ipotizzare che essa operi come uno schema, come un'istanza mediatrice di carattere formale in grado di rielaborare esperienze legate a caratteristiche fisiche della specie umana, traducendole in configurazioni simboliche potenzialmente universali. Impostando il problema in questi termini eviteremo l'errore in cui, come si è visto, cadono abitualmente i cercatori di archetipi: quello di isolare simboli specifici più o meno diffusi scambiandoli per “universi culturali”. L'indagine che stiamo conducendo ha mostrato che l'elemento universale non è rappresentato dalle singole unità (gli zoppi, gli uomini dimezzati, i monosandali) ma dalla serie, per definizione aperta, che le include. Più precisamente: non dalla concretezza del simbolo, ma dall'attività categoriale che....rielabora in forma simbolica le esperienze concrete (corporee). Tra queste ultime bisogna includere anche, anzi soprattutto, l’esperienza corporea di grado zero: la morte” (13).
    A - Il tentativo di combinare morfologia e storia - [Ginzburg] ....trascura completamente di definire l'ampiezza accettabile di una classe. Ciò implica una specie di assegno ermeneutico in bianco, basato su un’acritica fiducia in Wittgenstein (14).
    P - La critica di Anderson sembra fondata. Ginzburg, nel suo libro, realmente trascura di definire l'ampiezza accettabile di una classe sia quando esamina da vicino le figure che, come i benandanti, sono caratterizzate dall'estasi e dalle battaglie per la fertilità sia quando esamina i miti che comprendono figure caratterizzate dall'asimmetria deambulatoria. In tal modo Ginzburg effettivamente dà la sensazione di avere un'acritica fiducia in Wittgenstein e di sposare le sue tesi quando egli, parlando di materiali mitologici, sostiene la possibilità di utilizzare la "rappresentazione perspicua di essi", l'importanza di trovare anelli intermedi" e la possibilità di "trasformare gradualmente una ellisse in un cerchio” (15). Le critiche di Ginzburg a Wittgenstein hanno riguardato solo la contestazione della presunta superiorità della morfologia sulla storia (16).
    A - Le somiglianze di famiglia - Criticando il concetto di "somiglianze di famiglia" utilizzato da Wittgenstein e riproposto da Ginzburg Anderson si chiede: “....chi non ha ammiccato alla fatuità della loro scoperta, da parte di zii amorosi o di nonni un po' rincitrulliti, in improbabili sembianze infantili, o magari adulte?" (17).
    P - Ginzburg si è limitato a rispondere rinviando ad un noto saggio di E. H. Gombrich (18). Ma forse era opportuno dare all'affermazione di Anderson una risposta più articolata. In ogni caso nel saggio di Gombrich c'è una giusta valorizzazione del concetto di "somiglianze di famiglia". Sostiene, infatti, il famoso storico dell'arte: «Così come ci è possibile generalizzare sulla voce di una persona o sulla condotta della sua scrittura attraverso tutte le varietà di tono o di linea, avvertiamo anche che c'è una sorta di espressione generale dominante di cui le singole espressioni non sono che mere modificazioni. In termini aristotelici essa è la sostanza dell'individuo e tutte le modificazioni sono meri accidenti, ma può trascendere l'individuo nell'esperienza della somiglianza di famiglia così meravigliosamente descritta in una lettera da Petrarca. Petrarca discute il problema dell'imitazione dello stile di un autore ammirato e dice che la somiglianza deve essere come quella che esiste tra il figlio e il padre, ove c'è spesso una grande differenza nei tratti individuali e «un'ombra però, un'aria, come la chiamano i nostri pittori, [...], produce quella somiglianza che ci richiama alla mente il padre non appena abbiamo visto il figlio, pur risultando diverse tutte le misure, se si facesse una misurazione» (19).
    Ma si veda anche quanto scrive Sergio Benvenuto a proposito della Teoria della Selezione dei Gruppi Neuronali di Gerald M. Edelman. Dice Benvenuto: «Per rendere conto della comunicazione effettiva, Edelman ricorre al concetto di Wittgenstein di "somiglianze di famiglia". In effetti se prendiamo gli elementi di una certa categoria molti di essi possono essere posti in relazione tra loro anche se alcuni non presentano nessuna delle proprietà che definiscono la categoria comune a tutti nel modo classico - vale a dire criteri individualmente necessari e congiuntamente sufficienti. Notiamo che varie persone con parentela di sangue tra loro possono assomigliarsi per certi tratti, ma è impossibile dire che esista un tratto assolutamente comune a tutti. ...Accade così che certe categorie possano avere gradi di appartenenza ma non confini netti. Inoltre certe categorie possono avere elementi che sono più rappresentativi (più prototipici) di altri. ..» (20).
    A - La classificazione politetica – La classificazione politetica, per essere operativamente difendibile, richiede una demarcazione ragionata delle caratteristiche che delimitano l'insieme in questione, e una chiara specificazione della proporzione delle medesime che vale per l'appartenenza a tale insieme. Se ognuna di queste due cose - caratteristiche e proporzioni - non ammonta a un grappolo dominante, la classe sarà più o meno arbitraria. Ginzburg non cerca di stabilire questa dominanza. Trasceglie invece in una serie di miti gli elementi che lo interessano, e li collega come altrettanti «anelli intermedi» in una catena che conferisce loro un significato comune (21)
    P - A queste affermazioni di Anderson Ginzburg non ha risposto ma io credo che si possa sostenere, con Benvenuto, che "certe categorie possano avere gradi di appartenenza ma non confini netti" e che, quindi, per definire l'appartenenza a determinate categorie (o classi) non bisogna necessariamente "definire l'ampiezza accettabile" di esse, così come Anderson ha chiesto a Ginzburg. Il "rigore elastico" da utilizzare in questo caso (volendo citare un ossimoro felicemente coniato da Edoardo Grendi) consiste nell'individuare empiricamente una serie di fenomeni o di figure che abbiano caratteristiche evidentemente tali da farli rientrare in determinate categorie. E Ginzburg ha chiaramente seguito questo procedimento in Storia notturna. Egli ha, infatti, scritto che «Gli stregoni circassi, gli strigoi romeni, i mazzeri corsi e soprattutto i kallikantzaroi greci ci pongono di fronte a un bivio. Escludendoli dall'analisi, ci troviamo di fronte ad una serie definita dalla presenza di due elementi: l'estasi e le battaglie per la fertilità. Includendoli, vediamo profilarsi una serie caratterizzata dal sovrapporsi e dall'incrociarsi di una rete di rassomiglianze, che accomunano di volta in volta una parte dei fenomeni considerati (mai tutti). Il primo tipo di classificazione, detto monotetico, apparirà più rigoroso a chi predilige (per ragioni anche estetiche) un'indagine sui fenomeni dai contorni netti. Il secondo , detto politetico, allarga la ricerca in maniera forse indefinita, e comunque in direzioni difficilmente prevedibili. E' questo il criterio che abbiamo deciso di seguire ....» (22).
    A supportare teoricamente, a posteriori, la scelta metodologica compiuta (e, secondo me, non adeguatamente motivata) da Ginzburg potrebbe contribuire la cosiddetta "Fuzzy Set Theory", la teoria dei gruppi "sfocati", non ben delimitati. Il concetto centrale di questa teoria è quello di "sfocatura". La "sfocatura" si riferisce ad una attenuazione delle restrizioni relative all'appartenenza ad una categoria - essendo le categorie classi cognitive di oggetti "che sono considerati equivalenti". I gruppi sfocati sono categorie con appartenenza graduata. I confini relativi all'appartenenza ad una categoria sono elastici. Invece di avere un oggetto appartenente, o non appartenente ad una categoria, come nel caso della classica teoria dei gruppi, l'oggetto può essere più o meno membro di una categoria. Il ragionamento o la logica sfocata è collegato a ciò che può essere chiamato ragionamento approssimato, cioè un tipo di ragionamento che è né molto esatto né molto inesatto. Mentre le proposizioni nella logica classica sono considerate o vere o false, nella logica sfocata esse possono essere più o meno (''una specie di", "probabilmente", "abbastanza", "abbastanza grande") vere, o più o meno false. Per esempio, un testimone di un crimine può fare una formale deposizione di ciò che ha visto, e questa deposizione può essere considerata più o meno accurata, più o meno vera, confrontata con la deposizione di altri testimoni. La sfocatura, allora, si riferisce all'imprecisione, ambiguità, relatività, vaghezza, incompletezza, e possibilità che è una qualità di categorie e proposizioni in molto del pensiero umano. La sfocatura contrasta con il concetto di nitidezza che si riferisce ad un'appartenenza a gruppi precisamente delimitata, esclusiva, non elastica, non ambigua. L'appartenenza ad una categoria può essere determinata da attributi coincidenti che formano "somiglianze di famiglia". I membri più rappresentativi di una categoria sono quelli con gli attributi maggiormente coincidenti con altri membri della stessa categoria e minimamente con altre categorie. Almeno alcune categorie naturali rappresentano "raggruppamenti naturali" di oggetti (piante, animali, reperti geologici, ecc.) nel mondo (23).
    A - Le convergenze e le divergenze con Lévi-Strauss - ...la sola vera critica di Ginzburg a Lévi-Strauss è che questi non è abbastanza fedele a sé stesso. Più realista del re, Ginzburg gli imputa una ricaduta in una trita interpretazione frazeriana nel considerare la zoppaggine come un motivo meramente stagionale anziché letale; ossia, come egli dice lapidariamente, «il mio Frazer ha letto Wittgenstein» (24).
    P - Ma la verità è che Ginzburg ha mosso due altri importanti rilievi a Lévi-Strauss. Egli ha scritto che «Le convergenze tra il programma di ricerca delineato da Lévi-Strauss e il libro che ho scritto mi sembrano assai forti. Ma le divergenze sono altrettanto importanti. La prima consiste nel rifiuto della funzione, circoscritta e marginale, che Lévi-Strauss attribuisce alla storiografia: quella di rispondere, attraverso l'accertamento di una serie di dati di fatto, alle domande poste dall'antropologia. A chi lavori, diversamente da Lévi-Strauss, con documenti datati e databili, può capitare anche l'inverso: e non solo quando (come nella ricerca presentata qui) morfologia e storia, reperimento di analogie formali e ricostruzione di contesti spazio-temporali costituiscono aspetti della ricerca svolta da un unico individuo. Da quest'intreccio scaturisce anche una seconda divergenza. Le serie isomorfe analizzate nella seconda e terza parte del libro appartengono a un ambito situato tra l'astratta profondità della struttura (prediletta da Lévi-Strauss) e la concretezza superficiale dell'evento. In questa fascia intermedia si gioca, probabilmente, tra convergenze e contrasti, la vera partita tra antropologia e storia» (25).
    A - L’asimmetria deambulatoria – La sua [di Ginzburg - ndr] tenace ricerca dell'asimmetria deambulatoria in tutta la mitologia classica è una brillante impresa d’immaginazione. Ma, per quanto ingegnosa, essa riposa su una serie di calcolate estrapolazioni dal contesto narrativo dei miti in esame (26).
    P - E' discutibile innanzitutto la prima affermazione. Il punto di partenza di Ginzburg è il libro di Claude Lévi-Strauss Il miele e le ceneri. In questo libro Lévi-Strauss ha scritto che all'improvviso si era accorto che la zoppaggine compare in un gran numero di miti e riti documentati nelle Americhe, in Cina, nell'Europa continentale e nel Mediterraneo. Allora aveva deciso che se una connessione transculturale di questo tipo copre un'area così vasta per essa c'è bisogno di una spiegazione di ordine strutturale. Ginzburg si accorge che tra i miti citati da Lévi-Strauss non c'è quello di Edipo, anche se il suo nome contiene un riferimento a un difetto nel camminare, e che la storia di Edipo può essere inserita in un insieme di miti e di saghe che coprono un'area geografica vastissima: dall'Europa all'Asia sud-orientale, passando per il Nordafrica, con propaggini dal mare Artico al Madagascar. Inoltre egli nota che c'è una serie di miti greci connessi a quelli di Edipo e che tra le somiglianze che accomunano questi miti ce ne era una che fino ad allora non era stata notata: più della metà dei protagonisti di questa serie mitica (Giasone, Perseo, Telefo, Teseo, Zeus) sono caratterizzati da particolarità connesse alla deambulazione (27).
    Dire che un'analisi del genere, molto accurata e documentata (essa occupa più di dieci pagine), è solo "una brillante impresa d'immaginazione" mi sembra eccessivo. Così, pur volendo ammettere qualche forzatura da parte di Ginzburg (a proposito in particolare dei miti di Teseo e Prometeo), mi sembra eccessivo anche dire che tale analisi «riposa su una serie di calcolate estrapolazioni dal contesto narrativo dei miti in esame».
    A - La frequenza distributiva e il principio di maggioranza - Anderson ha contestato l'interpretazione data da Ginzburg alle svariate versioni esistenti della fiaba di Cenerentola. Egli ha scritto: "Qui Ginzburg segnala come particolarmente significative le versioni che includono la raccolta da parte dell'eroina delle ossa di un animale che l'ha aiutata. Quindi argomenta che «la versione più completa della fiaba» implicava la successiva riesumazione dell'animale morto dalle sue osse. Ma sulle altre trecento storie, di tutto il globo, considerate versioni di Cenerentola, meno del 10 per cento includono la raccolta delle ossa, e meno dell'1 per cento - tre casi soltanto – implicano la resurrezione. In una simile sfiducia nei confronti della frequenza distributiva è difficile non scorgere una conclusione preconcetta (28).
    P - A queste affermazioni Ginzburg ha avuto buon gioco nel rispondere che «l'idea che la “frequenza distributiva” debba essere considerata come una garanzia necessaria di verità mi sembra stranamente ingenua. Il principio di maggioranza è un espediente pratico, non una scorciatoia verso la verità. La verità può essere pronunciata da un unico testimonio, in un panorama dominato dal silenzio, dalle distorsioni o dalle menzogne: un'osservazione ovvia, che può essere riferita sia a questioni di etica sia a questioni riguardanti il problema della prova» (29). In effetti l'analisi delle varie versioni della fiaba di Cenerentola, effettuata da Ginzburg in Storia notturna, è molto accurata, la bibliografia di cui egli si serve è molto ampia e anche le conclusioni a cui egli giunge sono condivisibili.
    A - La morfologia e la falsificazione - Come a livello di paradigma non è possibile identificare quale sia una forma non valida di divinazione così a livello di morfologia non c'è mai un punto in cui le associazioni debbano necessariamente arrestarsi. La falsificazione è esclusa (30).
    P - Anderson qui ha toccato un punto teorico rilevante. La mia opinione, però, è che solo apparentemente la falsificazione è esclusa quando Ginzburg parla di morfologia. Cioè in questo caso è esclusa solo la falsificazione che fa riferimento alla classica "teoria dei gruppi", per cui possono ritenersi appartenenti ad un gruppo solo gli elementi che hanno le stesse caratteristiche. Se però la falsificazione viene applicata ai gruppi di elementi effettivamente individuati da Ginzburg (come i benandanti e le figure simili rintracciate in vari altri paesi europei) il discorso cambia. Essi, come già detto sopra, possono essere definiti gruppi "sfocati", cioè gruppi di elementi che condividono solo alcune caratteristiche, ma non tutte. Anche in questo caso la falsificazione può essere applicata ma, evidentemente, un elemento non sarà considerato appartenente ad un gruppo solo se non avrà le caratteristiche fondamentali per poter esservi incluso.
    A - Dalla complessità alla semplicità - [Anderson afferma che Ginzburg è arrivato alle stesse conclusioni di Propp a proposito dell'esistenza di un'unica fiaba maestra alla base di tutte. Il suo commento è che] ...ancora una volta colpisce il contrasto tra la ricchezza e la varietà dei materiali e la povertà del significato a cui essi sono stati ridotti. Vedendo la festuca nell'occhio del folklorista, l'antropologo si lagnava del procedimento, riproducendolo al tempo stesso su scala maggiore. Lo storico, criticando entrambi, va oltre, e unisce insieme fiaba e mito in un motto cosmico che abbraccia tutti i racconti mai raccontati (31).
    P - A queste affermazioni Ginzburg ha giustamente risposto che «...quello che ai suoi occhi è un difetto, ai miei è invece un pregio. Dopo tutto, ridurre la complessità alla semplicità è uno degli scopi della spiegazione scientifica» (32).
    A - Diffusione culturale e uniformità psichica - ....l'ultima parte di Storia notturna esita continuamente fra questi due termini, in un dilemma fra due tipi di spiegazioni della regolarità trovate dall'autore: diffusione culturale (alternativamente, discendenza comune) o uniformità psichica. Evitando di optare per l'una o per l'altra Ginzburg sfrutta entrambe le possibilità. E' la loro combinazione a suggerire !'«intreccio» di storia e morfologia a cui egli mira. Ma la loro presenza simultanea nel testo assomiglia più a una rassicurazione tattica che a una sintesi teorica, perché le due cose non sono conciliabili logicamente (33).
    P - Mi sembra non vero che le due cose (diffusione culturale e discendenza comune) non siano conciliabili logicamente. L'ampia ricerca di Ginzburg dimostra, convincentemente, che questo è l'unico modo per spiegare la persistenza nel tempo e nello spazio di una serie molto numerosa di miti e riti. Giustamente Ginzburg afferma, alla fine del suo lungo excursus, che «Gli isomorfismi mitici e rituali da cui eravamo partiti rinviavano.....a una serie di scambi, di contatti, di filiazioni tra culture diverse . Questi rapporti storici costituiscono una condizione necessaria perché si verifichino fenomeni isomorfi, ma non sufficiente perché si diffondano e si conservino. Diffusione e conservazione dipendono anche da elementi di carattere formale che assicurano la compattezza dei miti e dei riti» (34). Ma va anche sottolineato che Ginzburg, nel sostenere la sua tesi, si è autorevolmente richiamato a Claude Lévi-Strauss riportando, a pag. 205 di Storia Notturna, un passo di Anthropologie structurale nel quale l'antropologo francese, a proposito dell'analogia tra l'arte cinese arcaica e quella della costa americana nord-occidentale, ha affermato che «De connexions externes peuvent expliquer la transmission, mais les des connexions internes peuvent rendre compte de la persistence» (35).
    A - Le categorie universali della mente umana - L'Eurasia è caratterizzata dalla ubiquità dello sciamanismo, l'Africa subsahariana dalla possessione. Il ciclo di Cenerentola e la scapulimanzia, analogamente, sono comuni alla prima e ignoti alla seconda ....Ma se è così, il richiamo a corrispondenze fra forme estatiche indo-europee e uralo-altaiche a categorie universali della mente umana è precluso (36).
    P - L'affermazione di Anderson non mi sembra convincente perchè, come riportato sopra, la diffusione e conservazione degli isomorfismi dipende, secondo Ginzburg, dall'esistenza sia di rapporti storici che di elementi di carattere formale. La presenza in Eurasia di miti che non sono presenti nell'Africa subsahariana può essere spiegata anche dall'assenza di significativi rapporti storici fra le due aree geografiche. La teorizzazione dell'esistenza di categorie universali della mente umana in tal modo non viene intaccata.
    A - Il significato mortuario dell'asimmetria deambulatoria - Alla fine, il significato mortuario dell'asimmetria deambulatoria è ricondotta a un'esigenza di autorappresentazione del corpo. A prima vista, qui la tesi di Ginzburg sembra plausibile. Ma essa si fonda su prove documentali quanto mai esili: il solo referente empirico a suo sostegno è una possibile interpretazione di un singolo mito delle Molucche (37).
    P - E' vero che a pagina 223 di Storia notturna Ginzburg ha citato il solo referente empirico riportato da Anderson a sostegno della sua tesi. Ma è una citazione che non assume un ruolo fondamentale nella teorizzazione di Ginzburg, che è basata su due osservazioni che mi sembrano lapalissiane. La prima è che la simmetria è una caratteristica degli esseri viventi. La seconda è che la stazione eretta è una caratteristica specificamente, anche se non esclusivamente, umana. Giustamente, secondo me, da queste osservazioni Ginzburg deriva le seguenti riflessioni: «...la diffusione transculturale dei miti e dei riti imperniati sull'asimmetria deambulatoria ha verosimilmente la sua radice psicologica in questa percezione elementare, minima, che la specie umana ha di sé stessa - della propria immagine corporea. Ciò che altera quest'immagine, su un piano letterale o metaforico, appare quindi particolarmente adatto a esprimere un'esperienza oltre i limiti dell'umano: il viaggio nel mondo dei morti, compiuto in estasi o attraverso i riti di iniziazione» (38).
    A - L'esistenza della natura umana - Il problema non è la convinzione, ragionevolissima, che esista una natura umana, ma dove localizzarla e come definirla. E' improbabile che le rappresentazioni collettive, comunque concepite, siano la strada maestra per giungere a una risposta. L'asimmetria deambulatoria, nonostante tutte le ramificazioni che acquisisce, non regge il peso antropologico che le viene addossato (39).
    P - Quando Anderson sostiene l'improbabilità che le rappresentazioni collettive siano la strada maestra per giungere ad una risposta relativamente all'esistenza della natura umana si mantiene ad un livello di estrema genericità . Non spiega il perché. Ma le risposte a domande del genere non possono essere univoche. Le strade possono essere diverse. Inoltre non mi sembra vero che il peso di dimostrare l'esistenza della natura umana sia stato addossato da Ginzburg solo all'asimmetria deambulatoria. Il suo discorso, molto articolato e complesso, ha riguardato anche altri miti e riti (Cenerentola, miti e riti relativi a metafore uterine, miti e riti collegati all'esistenza di tipi simili di stregoni, ecc. ecc.) oltre ad aver evidenziato consonanze significative con quanto autorevolmente sostenuto sull'argomento dallo strutturalismo antropologico .
    A - I diavoli zoppicanti e il sabba - Le sole connessioni che Ginzburg è in grado di offrire fra il soggetto manifesto [il sabba stregonesco] e il climax effettivo del libro è un ragazzo claudicante in una versione (di terza mano) delle dichiarazioni di un lupo mannaro della Livonia, e uno spettro storpio dell'Egeo. Nessuno dei due ha alcun rapporto diretto con il sabba (40).
    P - A questa affermazione Ginzburg ha giustamente risposto: «E' una conclusione che non può non stupire, data la presenza ricorrente, nei processi di stregoneria, nei trattati demonologici e nell'iconografia diabolica di diavoli zoppicanti o di diavoli con zampe animalesche» (41).
    A - Eliminazione di informazioni o scelte di testimonianze? - Molta della forza del suo [di Ginzburg] raccontare, qui come in Il formaggio e i vermi, sta in una prosa asciutta, stringata, in sordina. Ma per un altro verso, meno evidente, quest'arte controllatissima è anche molto teatrale. Le narrazioni di Ginzburg procedono per brevi paragrafi numerati, connessi tra loro in misura minima. L'artificio della numerazione, usato tipicamente da Spinoza in poi per suggerire una rigorosa deduzione logica, evoca qui la sequenza drammatica: scene o sequenze di un dramma o di un film. Si tratta di un modo molto efficace di raccontare una storia, che però, in quanto metodo di narrazione storica, ha un difetto: troppo spesso si regge sull'eliminazione di informazioni (42).
    P - Anche in questo caso mi sembra che la critica di Anderson non sia fondata. Essa è generica, non circostanziata, non riferita a lacune specifiche del lavoro di Ginzburg. Lo storico italiano a mio parere ha avuto ragione nel rispondere in tal modo: «Anderson parla di «eliminazione di informazioni»; io parlerei invece di “scelte di testimonianze”. In passato - per esempio, nella Grecia antica - gli storici ritenevano che tra gli scopi del loro lavoro ci fosse la completezza (ossia la registrazione del maggior numero possibile di dati). La nostra società ha inventato modi più efficaci di immagazzinare informazioni. Lo scopo principale della storiografia oggi va cercato in altre direzioni. Anderson fa capire che per scrivere narrazioni efficaci ho dovuto pagare un prezzo alto dal punto di vista cognitivo. lo sono convinto del contrario. Talvolta mi è capitato di avvertire una contraddizione tra obiettivi di ordine estetico e obiettivi di ordine cognitivo: questi ultimi, tuttavia, hanno sempre esercitato un diritto di veto nei confronti dei primi. Più spesso, tuttavia, mi sono accorto che tra le mie argomentazioni e il modo di presentarle esisteva un rapporto reciproco, basato ora su un ampliamento ora su una restrizione di possibilità. Non ho difficoltà ad ammettere una passione per le narrazioni discontinue, sia nei romanzi sia nei film. Ma ai miei occhi esse hanno implicazioni soprattutto di ordine cognitivo» (43).
    A - La persecuzione dei templari in Francia - L'assenza di riferimenti contestuali - caratteri generali della Francia nei primi decenni del Trecento, situazione immediata del regno, politica e personalità di Filippo V, condizione dei lebbrosi e degli ebrei - impone alla sinistra vicenda [il massacro francese del 1321] un ritmo fortemente drammatico, ma le toglie spessore. Un esempio particolarmente rilevante, e al tempo stesso discutibile, di questo procedimento, sta nell'indicare il massacro francese del 1321 come il punto di partenza del percorso sfociato nella psicosi europea delle streghe. Ginzburg trascura la cause célébre che lo precedette: lo sterminio dei templari scatenato da Filippo IV nel 1307. Le accuse formulate e le confessioni estorte nel corso di questa repressione politica erano da un certo punto di vista più prossime alla fantasmagoria del sabba che non le imputazioni mosse ai lebbrosi e agli ebrei. Ma appartenendo al nucleo «antiereticale» anziché a quello «folklorico», esse non figurano nel racconto di Ginzburg; nonostante il fatto, determinante per un'eziologia specifica, che nel 1321 la confessione principale dei lebbrosi fu un calco delle accuse mosse ai templari nel processo di tredici anni prima (44).
    P - Ginzburg ha risposto, convincentemente, in questo modo: «In realtà, alla p. 26 di Storia notturna . .. .la persecuzione contro i templari viene inserita in «una serie di casi clamorosi scoperti in Francia nei primi decenni del '300 [che] contribuirono a diffondere questa paura della cospirazione». Poche righe dopo affermo che si trattava di «casi che sembrano anticipare su scala ridotta la cospirazione attribuita qualche anno dopo ai lebbrosi e agli ebrei». Avrei potuto dire di più. Non l'ho fatto perché la mia argomentazione sulle origini dello stereotipo del sabba s'imperniava su un elemento specifico: l'emergere di accuse, rivolte a una setta o a un gruppo, di ordire complotti contro la società nel suo complesso. Anderson dice che le accuse rivolte contro i templari «erano da un certo punto di vista più prossime» allo stereotipo del sabba di quanto non lo fosse il sedicente complotto attribuito ai lebbrosi e agli ebrei. Ma dal punto di vista che avevo scelto è certamente vero il contrario: i templari non vennero mai considerati come una minaccia rivolta contro la società nel suo complesso. Nel mio libro non ho mai proposto di vedere nel 1321 un cominciamento assoluto (una nozione che, al di fuori della metafisica, ha ben poco senso). Ma all'interno della mia argomentazione il 1321 costituiva un inizio, dato che vedevo nell'accusa di complottare contro la società rivolta a un gruppo o a una setta una nozione cruciale: molto più importante, per lo sviluppo dello stereotipo del sabba, dell'isolata accusa di idolatria rivolta ai templari» (45).
    A - La persecuzione della stregoneria in Europa - L'enigma fondamentale della persecuzione della stregoneria in Europa è la sua distribuzione nel tempo e nello spazio: perché è scoppiata, quando è scoppiata, perché e come coinvolse alcune zone e non altre, perché e quando si esaurì. Nella risposta a questa domanda di ordine storico va cercata la chiave per decifrare il sabba. Nonostante tutte le acquisizioni degli studi posteriori, la fermezza e chiarezza intellettuale con cui tali quesiti sono formulati nel saggio di Trevor-Roper è tuttora ineguagliata (46).
    P - Ginzburg ha giustamente risposto nel seguente modo: «Queste affermazioni non implicano direttamente una critica nei confronti del mio libro. Non ho mai preteso di fornire, attraverso una decifrazione dello stereotipo del sabba, una chiave della distribuzione cronologica e geografica della persecuzione della stregoneria ciò che avrebbe comportato un'impostazione embriologica davvero assurda. Le parole di Anderson devono essere intese molto semplicemente, come un implicito rifiuto di attribuire una qualsiasi importanza ai problemi da cui è partita la mia ricerca - problemi che egli ritiene, com'è chiaro, storicamente irrilevanti. La sua mancanza di curiosità per ciò che ho chiamato «nucleo estatico» dello stereotipo del sabba era stata anticipata, quattro secoli fa, dall'atteggiamento degli inquisitori verso i benandanti friulani: un parallelo che, agli occhi di Anderson, conferma la giustezza della sua impostazione storiografica» (47).
    A - L'erosione del significato - Ciò che manca nella rappresentazione di Ginzburg è quella erosione del significato che ha tanta parte in ogni storia culturale: il noto processo per cui usanze o credenze che un tempo avevano un ruolo centrale diventano, col mutare delle condizioni, sporadiche o marginali, e poi perdono affatto il loro senso sovraccaricandosi di altri elementi che le incorporano o le cancellano, e cessano di essere comprese (48).
    P - A tali accuse Ginzburg non ha risposto. Si possono, però, citare alcuni passi di Storia notturna dai quali si deduce che egli ha, almeno dal punto di vista teorico, presente l'esistenza di questa problematica e che ne ha presumibilmente tenuto conto scrivendo il libro su citato. Parlando delle interpretazioni del sabba fornite dall'antropologa inglese Margaret Murray nel suo libro The Witch-Cult in Western Europe (1921), Ginzburg ha scritto che «La “religione dianica”, ossia il culto precristiano di fertilità che la Murray riconobbe, senza approfondirlo, nelle descrizioni del sabba [da parte delle streghe], suggeriva un'interpretazione diversa e più complessa [rispetto a quella dei giudici]. Il “nocciolo di verità” della tesi della Murray è qui. Esso consiste, più in generale, nella decisione di prendere sul serio, contro ogni riduzione razionalistica, le confessioni delle streghe - come già avevano fatto ben più illustri (ma paradossalmente trascurati) predecessori, a cominciare da Jakob Grimm. Ma la volontà, altrettanto razionalistica, di cercare in quelle confessioni puntuali descrizioni di riti, spinse la Murray in un vicolo cieco. A ciò si aggiunse l'incapacità di isolare nelle testimonianze sul sabba, le incrostazioni prodotte nel corso dei secoli dagli interventi pratici e dottrinali di giudici, inquisitori e demonologi. Anziché cercare di distinguere gli strati più antichi dalle sovrapposizioni successive, la Murray assunse acriticamente (a parte le manipolazioni testuali già accennate) lo stereotipo ormai consolidato del sabba come base per la propria interpretazione, rendendola del tutto inattendibile» (49).
    Ginzburg, quindi, ha presente la necessità di non accettare pedissequamente le testimonianze sul sabba ma di operare su di esse un lavoro interpretativo che ne salvi il nucleo ancora valido tralasciando le valutazioni erronee e le incrostazioni prodottesi nel tempo.
    Ginzburg ha, inoltre, scritto: «Nelle ricerche sul mito o sul rito ispirate allo strutturalismo l'oggetto viene costruito (o ricostruito) dapprima componendo i dati superficiali, e poi elaborando serie basate su un reticolo di isomorfismi profondi. Il bersaglio polemico di quest'impostazione è la consuetudine positivistica di partire da unità isolate alla ricerca di analogie implicanti trasmissioni o filiazioni. E' pur vero che i teorici dello strutturalismo non sempre mettono in pratica i propri principi; inversamente studiosi di orientamento positivistico hanno mostrato di saper cogliere l'affinità profonda che lega miti o riti apparentemente diversi. Ma al di là delle etichette, la via da seguire mi pare chiara: l'isomorfismo fonda l'identità, non viceversa. Ciò implica una divergenza radicale , nel metodo oltre che nei presupposti, da chi pretende di afferrare intuitivamente i simboli immutabili - gli archetipi - in cui si esprimerebbero le epifanie dell'inconscio collettivo (Jung) o le manifestazioni primordiali del sacro (Eliade)» (50). Sono chiare, in questo caso, sia la polemica contro chi pretende di afferrare intuitivamente i simboli immutabili sia la scelta di fondare l'identità sull'isomorfismo e non di seguire il procedimento inverso.
    A - L'interpretazione dell'asimmetria deambulatoria da parte di alcuni autori classici - Lo stesso Ginzburg osserva più volte che ad autori classici sfuggiva il significato dell'asimmetria deambulatoria nei loro miti; e lamenta le loro ricostruzioni «razionalistiche» di misteri che lo interessano. Ma non trae da ciò la conclusione ovvia, di un simbolismo svanito (51).
    P - L'osservazione di Anderson ci sembra infondata perché Ginzburg ha scritto, a proposito dell'interpretazione dell'asimmetria deambulatoria da parte di alcuni autori classici: «....è evidente che dubbi, tentativi di spiegazione razionale o rinvii a tradizioni remote denunciano l'incapacità di decifrare un contenuto mitico e rituale, che già nel V secolo a. C. appariva ormai incomprensibile» (52). Quindi Ginzburg sottolinea sia l'incapacità di decifrare un contenuto mitico e rituale da parte di alcuni autori classici sia l'incomprensibilità di questo contenuto. Quindi, indirettamente, riconosce anche lui che il simbolismo originario era svanito.
    A - Le analogie tra gli sciamani e i benandanti - Lo sciamanismo, nelle sue sedi native siberiane o lapponi, era un'istituzione centrale di tribù primitive di cacciatori-raccoglitori o di pastori. Qualunque cosa ci sia trasmessa da ambienti sociali remoti, forse affini a questi, alle città-Stato mediterranee, non può non aver assunto un peso e un significato diversi; e tanto più (se una simile continuità ci fu) nelle società dell'Europa tardomedievale e protomoderna. Ginzburg insiste sui parallelismi tra sciamanismo e trances estatiche del tipo da lui riscontrato nei benandanti. Ma queste erano clandestine, mentre - sono parole di Elide - «ogni seduta autenticamente sciamanica termina con uno spettacolo senza eguali nel mondo dell'esperienza quotidiana»: una differenza fondamentale. Ginzburg si disimpegna con una stoccata strutturalista. Una omologia sussiste comunque per inversione: se gli sciamani erano pubblici, i loro sogni erano battaglie individuali per il bene, mentre il combattimento onirico dei benandanti era collettivo, anche se si svolgeva in privato. Quali che siano i meriti di quest'argomento, il punto saliente che esso elude è che la funzione storica dell'esperienza estatica era nel frattempo completamente cambiata, da rappresentazione drammatica sociale a furtiva fantasticheria onirica; con verosimile cambiamento anche del suo significato soggettivo" (53).
    P - Il discorso di Anderson non è convincente. A fronte dell'unica significativa divergenza da lui sottolineata (ma ammessa anche da Ginzburg) vanno citate le numerose analogie tra gli sciamani e i benandanti (e le figure simili) descritte da Ginzburg alle pagine 149, 150 e 151 di Storia notturna. Le analogie sono le seguenti: a) l'estasi è comune ai due tipi di figure; b) le estasi sono popolate di battaglie; c) l'inizio della vocazione avviene in un'età variabile; d) il manifestarsi della vocazione è spesso accompagnato da disordini psicologici; e) l'anima, trasformata in animale o in groppa a un animale, abbandona il corpo esanime; f) dopo un certo tempo sia lo sciamano che il benandante (o altra figura simile) escono dalla catalessi per riferire agli spettatori che cosa hanno visto, che cosa hanno appreso, che cosa hanno fatto nell'altro mondo; g) i protagonisti si considerano o vengono considerati mediatori o mediatrici tra i vivi e i morti; e) le metamorfosi in animali e le cavalcate in groppa ad animali esprimono simbolicamente l'estasi: la morte temporanea segnata dall'uscita, in forma di animale, dell'anima dal corpo.


    NOTE

    1) PIETRO CITATI: Uomini, dei, sciamani; La Repubblica, 2/7/1989; GRADO G. MERLO: La “Storia notturna” di Carlo Ginzburg, in “Rivista
    storica italiana”, CII, 1990, pp. 222-228; ROBERT BARTLETT: Witch Hunting, in “The New York Review of Books”, 13 June 1991; GIOVANNI
    FILORAMO: Una storia infinita. La ‘storia notturna’ di Carlo Ginzburg, in “Rivista di Storia e Letteratura Religiosa”, 2 (1991), pp. 283-296;
    ADRIANO PROSPERI: A proposito di Storia notturna di Carlo Ginzburg, in “Paragone”, XL, 1989, pp. 95-106; ANNE JACOBSON SCHUTTE: R
    eview of Storia notturna, in “The Journal of Modern History”, Vol. 64, No. 3 (Sep., 1992), pp. 575-576; JOHN MARTIN: ]ourney to the World
    of the Dead: the Work of Carlo Ginzburg, in “]ournal of Social History”, 25, n. 3, 1992, pp. 613-623; CARLO SEVERI: Le chamanisme et la
    Dame du Bon Jeu. A propos d’un livre de C. Ginzburg, in “L’Homme”, n. 121, janvier-mars, 1992, XXXII (1), pp. 165-177.

    2) Tale recensione è stata inizialmente pubblicata, col titolo Witchcraft, sulla London Review of Books dell'8/11/1990. In seguito essa stata
    pubblicata in italiano (assieme ad una risposta di Carlo Ginzburg) col titolo Il mito della natura umana sul numero 3 del 1991 della rivista
    Micromega. Successivamente tale recensione è stata pubblicata all'interno della raccolta di saggi di Perry Anderson dal titolo A Zone of
    Engagement (London, Verso, 1992) e poi, col titolo Una ricerca notturna: Carlo Ginzburg, all'interno della traduzione italiana di tale raccolta
    dal titolo Al fuoco dell'impegno (Milano, Il Saggiatore, 1995).

    3) Il riassunto del contenuto di Storia notturna è tratto da PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., da p. 206 a p. 209.

    4) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 209.

    5) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 209.

    6) LUDWIG WITTGENSTEIN: Note sul "Ramo d'oro" di Frazer, Adelphi, Milano, 1975.

    7) LUDWIG WITTGENSTEIN: Note sul "Ramo d'oro" di Frazer, cit. p. 29.

    8) LUDWIG WITTGENSTEIN: Note sul "Ramo d'oro" di Frazer, cit. p. 29.

    9) RODNEY NEEDHAM: Polythetic Classification. Convergence and Consequences, in "Man", 1O, 1975, pp. 349-69; ora in ID.: Against the
    Tranquillity of Axioms; University of California Press, Berkeley - Los Angeles, 1983, pp. 36-65.

    10) RODNEY NEEDHAM: Circumstantial Deliveries; University of California Press, Berkeley - Los Angeles, 1981, pp. 1-3.

    11) RODNEY NEEDHAM: Against the Tranquillity of Axioms, cit. p. 58.

    12) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 21O.

    13) CARLO GINZBURG, Storia notturna, cit., p. 223.

    14) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 21O.

    15) LUDWIG WITTGENSTEIN: Note sul "Ramo d'oro" di Frazer, cit. p. 29 (?).

    16) CARLO GINZBURG, Storia notturna, cit., pp. XXIX-XXX.

    17) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 21O.

    18) ERNST H. GOMBRICH, La maschera e la forma: la percezione della fisionomia nella vita e nell'arte, in ID., Arte, percezione e realtà (1972);
    Torino, Einaudi, pp. 12-13. l

    19) FRANCESCO PETRARCA: Le famigliari, XXIII, 19, 78 – 94.

    20) SERGIO BENVENUTO, Darwin tra i neuroscienziati. Sulla teoria di G. M. Edelman, in «Lettera Internazionale», n. 69, 2001, p. 1O.

    21) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 211.

    22) CARLO GINZBURG, Storia notturna, cit., p. 148. A pagina 193 di Storia Notturna Ginzburg ha sostenuto che "Forme analoghe di
    classificazione sono già state proposte in ambito linguistico" e ha fatto riferimento al celebre saggio (redatto nel 1936) di N. S. TROUBECKOJ:
    Gedanken uber das lndogermanenproblem , in «Acta Linguistica», I, 1939, pp. 81 sgg.

    23) Le frasi riportate sono tratte dal saggio di CHARLES D. LAUGHLIN, Fuzziness and Phenomenology in Ethno/ogical Research: lnsights from
    Fuzzy Set Theory, in «Journal of Anthropological Research», n. 49 (1), 1993.

    24) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 211.

    25) CARLO GINZBURG, Storia notturna, cit., pp. XXXVI-XXXVII.

    26) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 211.

    27) CARLO GINZBURG, Storia notturna, cit., p. 206.

    28) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 211

    29) CARLO GINZBURG, Buone vecchie cose o cattive cose nuove, in «Micromega», n. 3, giugno- settembre 1991, p. 227.

    30) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 213.

    31) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., pp. 213-214.

    32) CARLO GINZBURG, Buone vecchie cose, cit., pp. 226-227.

    33) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 214.

    34) CARLO GINZBURG, Storia notturna, cit., p. 250.

    35) CLAUDE LEVI-STRAUSS, Le dédoublement de la représentation dans /es arts de J'Asie et de l'Amérique, ID., Anthropologie structurale; Paris,
    Plon, 1958, p. 284.

    36) PERRY ANDERSON , Il mito della natura umana, cit., p. 214 .

    37) PERRY ANDERSON , Il mito della natura umana, cit., p. 215.

    38) CARLO GINZBURG, Storia notturna, cit., p. 223.

    39) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 215.

    40) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 215.

    41) CARLO GINZBURG, Buone vecchie cose, cit., p. 228.

    42) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 217 .

    43) CARLO GINZBURG, Buone vecchie cose, cit., p. 226.

    44) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., pp. 217-218.

    45) CARLO GINZBURG, Buone vecchie cose, cit., pp. 225-226.

    46) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., pp. 218-219. Anderson si riferisce al saggio di HUGH TREVOR-ROPER, The European
    Witchcraze of the Sixteenth and Seventeenth Centuries, in ID., Religion, the Reformation and Socia/ Change; London, MacMillan, 1972 (trad. it.
    HUGH TREVOR-ROPER, La caccia alle streghe in Europa nel Cinquecento e nel Seicento, in ID., Protestantesimo e trasformazione sociale;
    Roma-Bari, Laterza, 1969, pp. 144-154).

    47) CARLO GINZBURG, Buone vecchie cose, cit., pp. 228-229.

    48) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., pp. 219.

    49) CARLO GINZBURG, Storia notturna, cit., p. XXII.

    50) CARLO GINZBURG , Storia notturna, cit., p. XXXII.

    51) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., p. 219.

    52) CARLO GINZBURG, Storia notturna, cit., p. 214.

    53) PERRY ANDERSON, Il mito della natura umana, cit., pp. 219-220.
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