1. PELELLA FRANCO - PADRONATO E POLITICA NELL’INDUSTRIA DI TRASFORMAZIONE DELLA PIANA DEL SELE

    By Franco Pelella il 29 Mar. 2023
     
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    INTRODUZIONE

    La scelta di puntare l’attenzione sul rapporto tra il padronato dell’industria di trasformazione della Piana del Sele e la politica è nata dal fatto che negli ultimi 60 anni attorno alle figure padronali ruotò molta della storia economica e politica della Piana del Sele; nella Piana del Sele il rapporto tra padronato industriale e politica fu, fin dalla nascita delle prime industrie, molto stretto e ciò derivò in primo luogo dal potere egemonico che il possesso dell’industria conferiva ai padroni in una provincia depressa dal punto di vista economico.
    Gli elementi che resero possibil0e il perpetuarsi del rapporto tra il padronato industriale e la politica nel corso degli anni furono sostanzialmente due: il rapporto con lo Stato e lo sfruttamento politico degli operai. Il rapporto con lo Stato fu decisivo per la nascita della prima industria della Piana del Sele, quella dei tabacchifici; esso si perpetuò, poi, nel tempo con interventi vari a sostegno dell’iniziativa industriale. Per gli industriali conservieri (che, in gran parte, possiamo definire padroncini se rapportati al padrone dei tabacchifici) il rapporto con lo Stato ebbe fasi diverse. Le loro industrie nacquero come iniziative economiche non sovvenzionate dallo Stato e il bisogno dell’intervento dello Stato subentrò successivamente, nel secondo dopoguerra, in seguito alla crisi che le colpì; in questo caso il bisogno di un aiuto economico spinse una parte dei padroncini ad allacciare un rapporto con il personale politico allora dominante, in primo luogo Carmine De Martino, il padrone dei tabacchifici. Ciò consentì loro di portare avanti le iniziative industriali. Altri padroncini dell’industria conserviera non usufruirono di interventi statali a causa dei dissensi con gli uomini politici locali esponenti dei partiti di governo; ciò comportò la fine delle loro iniziative industriali. Ma l’utilizzo dell’intervento statale fu praticato anche dall’industria pubblica del tabacco e dall’industria conserviera di proprietà dell’Ente che gestì la riforma agraria nella zona; in questo caso il rapporto con la politica fu utilizzato dai nuovi padroni pubblici, specialmente i funzionari locali.
    Lo sfruttamento politico degli operai fu l’altro elemento decisivo nel consentire un rapporto tra il padronato e la politica; in questo caso il fattore predominante fu quello della stagionalità della lavorazione sia nei tabacchifici che nelle industrie di trasformazione. Il consenso politico ai vari padroni fu una conseguenza diretta delle contrattazioni annuali delle assunzioni che conferiva un grosso potere di ricatto nei confronti degli operai. La veridicità di quanto affermato è provata dalla rottura del rapporto politico tradizionale tra padronato e operai che avvenne in seguito alla fine della stagionalità della lavorazione nell’industria pubblica del tabacco; la fine della stagionalità provocò anche la fine della contrattazione annuale delle assunzioni e quindi dell’opportunità di un rapporto politico di predominanza dei padroni nei confronti degli operai.
    Un’altra caratteristica del rapporto tra il padronato delle industrie di trasformazione della Piana del Sele e la politica fu quello di essere molto diretto, nel senso che quasi sempre i padroni ricoprirono anche un preciso ruolo politico; questo ruolo fu di primo piano nel caso del padrone dei tabacchifici, data l’influenza politica da lui esercitata sia a livello provinciale che a livello nazionale e di secondo piano nel caso dei padroncini e dei dirigenti dell’industria dell’Ente dato che essi esercitarono un’influenza politica solo a livello locale. Ma va aggiunto anche che ad una prima fase in cui il padronato era il quasi esclusivo rappresentante del potere politico nella Piana del Sele fece seguito una seconda fase, negli anni ’60, nella quale entrarono in scena altri soggetti sociali provenienti dalle fila delle classi medie di origine rurale e urbana formatesi di recente nella zona, una zona nella quale ci furono prima la bonifica integrale e la riforma agraria e poi una crescente urbanizzazione; la presenza di questi soggetti, e la loro non adeguata rappresentanza politica, fu uno dei motivi della crisi del rapporto tra padronato e politica dato che il padronato non fu più in grado di rappresentare né i propri interessi né gli interessi generali della popolazione locale.


    PARTE PRIMA: IL PADRONATO PRIVATO

    CAPITOLO PRIMO: IL VECCHIO PADRONATO: GLI AGRARI ALLEVATORI

    Gli agrari a un bivio

    Le lotte per la terra dei contadini ex combattenti della prima guerra mondiale della Piana del Sele (1) furono il fattore più rilevante nel mettere in evidenza, nel primo dopoguerra, l’incrinarsi dell’egemonia secolare degli agrari allevatori sulle altre figure sociali della zona; ciò che le lotte contadine per la terra evidenziarono in primo luogo fu la crisi dei rapporti di produzione fondati sulla rendita. Il prevalere di questi rapporti aveva infatti determinato, assieme ad una sostanziale staticità dell’economia, anche l’accumulazione di una sovrappopolazione sempre meno controllabile nei suoi effetti esplosivi; nacque così l’esigenza di radicali cambiamenti nei rapporti di produzione. Negli anni ’20 furono introdotte nuove iniziative economiche non più fondate sulla rendita ma sul profitto; nacquero alcune industrie di trasformazione dei prodotti agricoli come i tabacchifici e le industrie conserviere (2). Ed è significativo il fatto che alcuni dei promotori di queste iniziative non furono gli agrari allevatori della zona ma altri soggetti, sia di origine locale che extra-locale (3).
    Gli agrari allevatori furono comunque presenti in alcune delle nuove iniziative economiche ma non come promotori bensì come compartecipanti. Nel caso dei tabacchifici, per esempio, introdotti dalla società SAIS (Società Agricola Industriale Salernitana) a partire dal 1918, la loro presenza fu dovuta al fatto che i soggetti di origine locale ed extralocale, che furono i reali promotori della società, non avevano i capitali necessari per mandare avanti l’iniziativa; al contrario gli agrari allevatori avevano la possibilità di introdurre nella SAIS sia i loro capitali sia il decisivo intervento dello Stato attraverso le concessioni speciali del Monopolio per il tabacco (4). Lo stesso discorso può essere fatto per le opere di bonifica integrale. Il senatore del Partito popolare Mattia Farina era proprietario o affittuario di oltre 1300 ettari nella parte della Piana situata sulla riva destra del fiume Sele nel territorio degli attuali Comuni di Pontecagnano Faiano, Battipaglia e Montecorvino Rovella; egli nel 1923 costituì assieme all’ingegnere milanese Antonio Valsecchi la società Farina Valsecchi & C. per la bonifica e l’irrigazione delle terre della Piana. e nel 1927 la società si trasformò in Società anonima delle bonifiche (SAB). Anche altri agrari allevatori entrarono a far parte della SAB (5), ma chi in realtà gestì la bonifica fu l’ingegnere Valsecchi. Essi, anzi, tentarono di impedire il completamento dei lavori di bonifica intrapresi sui loro terreni (6); il contributo da loro dato in questa occasione fu soprattutto quello di sollecitare l’intervento dello Stato che destinò notevoli capitali per la bonifica.
    Gli esempi dei tabacchifici e della bonifica dimostrano che agli inizi del ventesimo secolo gli agrari allevatori della Piana del Sele, ma sicuramente anche gli agrari di altre zone dell’Italia, ebbero un ruolo politico che prevaleva sul loro ruolo economico; grazie al loro potere politico essi potevano far intervenire in modo consistente lo Stato nelle nuove iniziative economiche. Una conferma di questo discorso è il grande peso politico che gli agrari allevatori della Piana del Sele ebbero durante il ventennio fascista anche se essi non furono, come in altre zone d’Italia, i principali promotori del fascismo; essi ricoprirono alcune delle più importanti cariche pubbliche e di partito dell’intera provincia di Salerno (7) e il loro più importante esponente fu Senatore del Regno (8).
    Il controllo economico dei tabacchifici da parte degli agrari allevatori consentì loro di avere un controllo politico sia del mercato del lavoro agricolo sia del mercato del lavoro industriale attraverso la contrattazione periodica con i contadini dei quantitativi di tabacco greggio da trasformare e con gli operai dell’occupazione stagionale all’interno dei tabacchifici; è assai significativa la sostanziale identificazione della direzione dei tabacchifici con il partito fascista (9), tanto è vero che in qualche caso il pagamento dei salari agli operai avveniva nelle sedi locali del partito (10).

    Gli agrari e lo Stato

    Gli stretti rapporti tra gli agrari e lo Stato non furono sempre così palesi come durante il ventennio fascista dato che a partire dall’Unità d’Italia lo Stato si era caratterizzato in senso garantista piuttosto che interventista; il garantismo bastava per salvaguardare il rapporto sociale egemonico esercitato dagli agrari nei confronti delle altre figure sociali. La rendita era l’elemento centrale nell’assicurare l’egemonia (11) e il compito dello Stato era quello di garantire il quadro legislativo all’interno del quale essa potesse essere meglio sfruttata da parte degli agrari; ciò avvenne o mediante la legittimazione di situazioni di fatto come nel caso, all’indomani dell’Unità d’Italia, dell’usurpazione degli usi civici (12) oppure mediante la concessione di notevoli agevolazioni economiche, come nel caso dei bassi canoni d’affitto pagati durante e dopo la prima guerra mondiale dagli agrari ai municipi locali per usufruire dei terreni demaniali (13).
    La situazione cambiò totalmente con l’avvento del fascismo. La crisi economica rese urgente un intervento diretto dello Stato nell’economia, un intervento che fu sollecitato soprattutto dagli agrari, ma nella Piana del Sele le figure sociali che seppero gestire meglio l’intervento statale, utilizzandolo produttivamente, furono i nuovi padroni dei tabacchifici e delle industrie conserviere (14); paradossalmente lo Stato ebbe il ruolo di principale fattore di crisi della rendita (15) e la funzione di legittimazione del ruolo politico ed economico degli agrari allevatori si tramutò nel suo contrario.
    La delegittimazione produsse i suoi effetti già a partire dal periodo fascista quando gli agrari allevatori persero il controllo della SAIS e della SAB a favore delle nuove figure imprenditoriali emergenti nel seno stesso di queste società (16); ma è con la ricostruzione successiva alla seconda guerra mondiale, gestita in prima persona da Carmine De Martino, il nuovo padrone dei tabacchifici (17), che si registrò il primo forte segnale di un’irrimediabile frattura tra agrari e Stato. La conferma venne dallo scarso peso politico esercitato dagli agrari nell’immediato dopoguerra (18) mentre il nuovo padrone, che aveva preso il loro posto nell’intrattenere rapporti privilegiati con lo Stato, ottenne anche un grosso successo politico (19).
    Ma il vero e proprio salto di qualità avvenne con la Riforma agraria, avviata nel 1950; tale riforma costituì, infatti, il primo intervento dello Stato direttamente contrario agli interessi degli agrari e, quindi, il punto di massima delegittimazione del loro ruolo economico (20); nella Piana del Sele i cospicui indennizzi concessi dallo Stato agli agrari allevatori furono utilizzati quasi esclusivamente per la speculazione, sia mobiliare che immobiliare (21).

    Gli agrari e il profitto

    Nella Piana del Sele all’inizio del ventennio fascista la rendita e il profitto convissero senza significativi contrasti (22); ci fu una sostanziale convergenza di interessi tra gli agrari allevatori e le nuove figure imprenditoriali emergenti all’interno dei tabacchifici mentre gli industriali conservieri provenienti dal Nord, invece, si chiusero all’interno del loro ambito economico e intaccarono solo marginalmente i principali rapporti politici ed economici già esistenti (23). Invece gli agrari allevatori, nonostante il meccanismo di sviluppo dell’agricoltura messo in moto dalle industrie conserviere con la loro crescente domanda di pomodoro (24), continuarono ad esercitare il loro ruolo economico sfruttando la rendita derivante dall’allevamento del bestiame.
    La situazione iniziò a cambiare intorno agli anni ’30 per poi scoppiare dopo la seconda guerra mondiale. Gli agrari allevatori, di fronte all’aumentata attività delle industrie conserviere e ai crescenti interventi di bonifica dei terreni paludosi, ebbero un atteggiamento sempre più critico verso queste iniziative. I contrasti si indirizzarono verso i padroni dell’industria conserviera e verso i nuovi imprenditori agricoli, due figure sociali che risentirono beneficamente dello sviluppo della coltivazione di colture agricole intensive nella zona (25). Nei confronti del nuovo padrone dei tabacchifici non ci furono, invece, significativi contrasti (26); il motivo fondamentale di questo atteggiamento fu, forse, il ruolo di assoluto rilievo ormai da lui ricoperto sia come industriale sia come uomo politico. Il rapporto privilegiato con lo Stato che costui aveva stabilito era un elemento troppo importante perché gli agrari allevatori si potessero permettere una rottura nei suoi confronti. La loro subalternità fu quasi totale; significativa fu anche la loro adesione quasi generalizzata al partito del nuovo padrone, la Democrazia cristiana, negli anni ’50 (27). Ma anche sul piano economico essi ebbero lo stesso atteggiamento di subalternità; ne fu un esempio la loro partecipazione alla SECER, una società immobiliare costituita dal nuovo padrone dei tabacchifici per contribuire alla ricostruzione di Salerno dopo il conflitto bellico (28).


    CAPITOLO SECONDO: IL PADRONE

    Il padrone all’offensiva

    Il cambio della guardia all’interno del padronato industriale di punta della Piana del Sele avvenne, negli anni ’30, in modo non traumatico ma attraverso una sostituzione preparata all’interno dei tabacchifici; sfruttando a dovere le proprie qualità manageriali il padrone riuscì ad acquisire un potere sempre maggiore tanto da diventare, nel giro di pochi anni, il maggiore esponente della SAIM (29). Dopo il secondo conflitto mondiale egli si presentò con le carte in regola per accedere ad un ruolo politico di primo piano; l’opposizione di un importante esponente locale della Democrazia cristiana non riuscì ad impedire il suo ingresso trionfale nella stessa Dc dopo essere stato eletto all’Assemblea Costituente nel 1946 nella lista dell’Unione Democratica Nazionale (30).
    Per avere successo politico il padrone sfruttò sia la mobilitazione elettorale degli impiegati e degli operai dei tabacchifici sia l’appoggio del clero salernitano. Il ruolo politico e il ruolo economico dei dirigenti della SAIM coincidevano (31); in molti casi essi erano diventati tali più per i meriti politici da essi acquisiti in precedenza che per le loro capacità manageriali. A conferma di ciò basta citare il fatto che negli anni ’50 c’era una sostanziale omogeneità tra la composizione della direzione provinciale della Dc e quella del gruppo dirigente della SAIM (32); ciò non costituiva una grossa novità perché già quando essa fu costituita il suo gruppo dirigente si poteva identificare con il gruppo dirigente del Partito Popolare in provincia di Salerno (33). Ma molto incise sul successo politico del padrone anche il paternalismo esercitato nei confronti degli operai; significativo è ancora oggi il buon ricordo che gli ex dipendenti conservano di lui come pure l’attribuzione di tutte le disfunzioni ai dirigenti, ritenuti assai meno onesti e competenti (34). L’elemento, però, più rilevante nel propiziare la sua ascesa politica fu, come già detto, il rapporto privilegiato con le autorità ecclesiastiche da lui intrattenute fin dal primo dopoguerra; fu l’esistenza di questo rapporto a fornirgli la legittimazione necessaria per entrare prima a far parte della Democrazia cristiana e poi per acquisire ulteriori consensi politici. Le autorità ecclesiastiche furono determinanti soprattutto nel consentirgli di acquisire il consenso delle masse rurali della Piana del Sele (35) e il padrone seppe approfittare di questo legame non mancando in svariate occasioni di manifestare il suo personale interessamento per i problemi religiosi; egli fece, infatti, costruire varie chiese oltre a promuovere numerose opere di beneficenza. Oltre a ciò egli favorì in molte occasioni gli Arcivescovi di Salerno dando, ad esempio, la precedenza ai loro raccomandati per le assunzioni all’interno della SAIM (36).
    Ciò che, invece, consentì al padrone di mantenere, dopo averle conquistate, le posizioni di potere raggiunte fu il rapporto con lo Stato. La conquista definitiva di questo rapporto si realizzò nell’immediato dopoguerra quando il suo intervento favorì l’afflusso di una larga fetta di danaro pubblico durante l’opera di ricostruzione post-bellica della provincia di Salerno; il suo ruolo di primo piano nella ricostruzione della città di Salerno, mediante un intervento diretto nella attivazione delle più importanti opere economiche e sociali, e l’utilizzo successivo e spregiudicato della spesa pubblica servì ad evidenziare la subalternità del vecchio e nuovo padronato della provincia nei suoi confronti (37).

    Il padrone e lo Stato

    Il rapporto con lo Stato ha costituito un dato costante nella storia dei tabacchifici della Piana del Sele fin dalla nascita dei primi stabilimenti SAIM negli anni ’20 (38) dato che essi hanno visto la luce solo in seguito all’acquisizione certa della “concessione speciale” del Monopolio di Stato per la lavorazione esclusiva del tabacco nella Piana del Sele (39); per questo motivo fin dai primi anni ’20, con l’assunzione di un ruolo di primo piano nella SAIM in qualità di direttore, il padrone incominciò ad intrattenere un rapporto con i responsabili degli organismi statali collegati al Monopolio del tabacco. In questa fase, però, il rapporto tra padrone e Stato era ancora molto mediato dalla presenza nella società del vecchio padronato agrario il quale, rivestendo ancora un ruolo politico rilevante, controllava i canali principali di comunicazione con le alte sfere statuali. Un rapporto più diretto tra padrone e Stato potè instaurarsi solo in seguito, intorno agli anni ’30; assai significativo fu il fatto che in questo periodo la SAIM allargò notevolmente le sue attività acquisendo, ad esempio, larga parte del demanio di Persano (40).
    Nel secondo dopoguerra il rapporto tra il padrone e lo Stato si incrementò ulteriormente, come già scritto, in occasione della ricostruzione post-bellica della provincia di Salerno; egli assunse un ruolo di primo piano diventando il principale promotore di svariate iniziative come la Mostra della ricostruzione e la società immobiliare SECER ma fu anche il principale gestore politico dei fondi del piano di aiuti economici ERP (41). Approfittando di queste occasioni egli abbandonò in parte il suo ruolo di industriale e diventò anche uomo politico a partire dal 1944, un ruolo che svolse da leader fino alla metà degli anni ’50 (42); grazie al suo rilevante ruolo politico egli rese subalterni a sé sia il vecchio padronato agrario che il nuovo padronato industriale della provincia di Salerno.
    Ma alla fine degli anni ’50 la stella politica del padrone si offuscò; egli fu emarginato all’interno della Dc poiché era il rappresentante dei vecchi e nuovi gruppi padronali della provincia di Salerno e quindi non idoneo a seguire la svolta del “Partito Nuovo” del 1954, un partito rivolto in primo luogo all’acquisizione del consenso della piccola borghesia meridionale (43). E’ significativo il modo in cui emersero, allora, alcune nuove figure politiche nel Salernitano; queste figure, di origine piccolo-borghese, dovettero molto del loro successo politico alla capacità di diventare mediatori del rapporto tra lo Stato e i soggetti sociali emergenti quali i nuovi gruppi industriali provenienti dal Nord, la piccola borghesia di origine cittadina e contadina, e gli imprenditori edili (44).

    Il declino del padrone

    E’ improprio parlare di declino del padrone se con questo termine si vuole intendere una caduta brusca e inattesa di prestigio da parte sua; lo testimonia il fatto che nel momento della sua morte, nel 1963, egli era ancora uno dei leader della Dc salernitana oltre che un imprenditore di grosse risorse (45). Di declino si può, quindi, parlare solo se lo si intende come un processo lungo e non lineare di ridimensionamento del suo ruolo di dominatore della scena politica ed economica salernitana.
    La causa originaria del declino può essere considerata la riforma agraria avviata negli anni ’50; la sua attuazione mise in evidenza i legami troppo stretti esistenti tra lui e il vecchio padronato agrario della Piana del Sele. Tali legami divennero evidenti allorchè egli, prima dell’approvazione della legge di attuazione della riforma, iniziò una violenta campagna contestatrice (46); nella sua polemica il padrone coinvolse, criticandoli, anche i vertici della Dc. Ciò ridimensionò fortemente il suo ruolo all’interno del partito; lo testimoniò anche un suo agiografo quando scrisse: “Se avesse assunto atteggiamenti di moda, come avevano fatto altri esponenti politici, anche più ricchi di lui, avrebbe avuto dinanzi a sé certamente una più sicura carriera politica” (47).
    Criticando la riforma agraria il padrone tentò di salvaguardare anche i suoi interessi economici; l’attuazione della riforma nella Piana del Sele diede, infatti, un grosso colpo al suo patrimonio perché comportò l’esproprio di parecchi ettari di terreno appartenenti alla SAIM. Anche per questo motivo la SAIM dovette ricorrere, in quegli anni, alla cessione di cinque tabacchifici all’ATI.
    Ma una delle conseguenze della riforma per il padrone fu anche uno spostamento più accentuato delle proprie risorse economiche dal terreno economico al terreno politico; è significativo quello che scrisse un agiografo: “la politica lo allontanò dalle sue attività industriali con grave danno per lui dato che egli non vi si dedicò in difesa dei suoi interessi economici. Vi profuse invece attività e mezzi” (48). Data la sua accentuata attività contestatrice all’interno della Dc per lui divenne sempre più importante investire grosse risorse economiche per finanziare la propria corrente politica; si è calcolato che in 18 anni di vita politica egli abbia speso due miliardi e mezzo di lire (49).


    CAPITOLO TERZO: I PADRONCINI

    I padroncini e il vecchio padronato

    Il cosiddetto "decreto Visocchi", più propriamente il regio decreto legge 2 settembre 1919, n. 1633, contenente provvedimenti per l'incremento della produzione agraria (50) e l’operazione di bonifica integrale (51) favorirono, contemporaneamente, lo sviluppo agricolo della Piana del Sele e l’emersione di nuove figure imprenditoriali; le nuove figure degli affittuari capitalisti e dei medi proprietari terrieri furono alternative rispetto a quelle dei vecchi agrari allevatori ancorati a vecchie concezioni economiche. Ciò determinò una relativa autonomia economica delle nuove figure sociali emergenti (52) ma l’autonomia che costoro, che chiameremo padroncini, si conquistarono sul terreno agricolo non ebbe un riscontro diretto anche su altri terreni perché permaneva una subalternità di tipo politico nei confronti degli agrari allevatori, che furono i dirigenti politici della provincia di Salerno durante il ventennio fascista (53), sia una subalternità economica nei confronti dei grandi industriali conservieri della zona; costoro, infatti, sfruttando il quasi totale monopolio della domanda di pomodori da trasformare da essi detenuto, fissavano un basso presso del pomodoro offerto dai piccoli e medi proprietari mentre un prezzo più alto veniva concesso ai grandi agrari coltivatori della zona (54).
    A partire dagli anni ’20 e fino agli anni ’40, a causa di questi condizionamenti, alcuni affittuari capitalisti unitamente ad alcuni medi proprietari terrieri e qualche commerciante di prodotti agricoli diedero vita a varie piccole industrie di trasformazione del pomodoro (55) ma alcune di queste industrie nacquero anche successivamente, a causa delle vicende belliche; infatti “Le contingenze belliche del 1940-45 permisero a quasi tutti gli industriali salernitani di realizzare enormi superprofitti di congiuntura e facilitarono lo svilupparsi di nuove e improvvisate iniziative, specie nel 1944-45 quando venne a mancare all’Italia meridionale ogni possibilità di rifornirsi presso le industrie del nord” (56).
    Il tentativo dei padroncini, però, sostanzialmente fallì poiché la nascita delle suddette industrie non li fece uscire dalla subalternità economica; negativo fu soprattutto lo stretto legame che si instaurò tra l’agricoltura e l’industria perché esso, facendo diventare l’industria un’appendice dell’agricoltura, influì in modo determinante sulla mancata formazione di una mentalità imprenditoriale da parte dei padroncini. Le loro industrie rimasero iniziative economiche di tipo sostanzialmente artigianale; esse sopravvissero solo perché sfruttarono alcuni elementi favorevoli e cioè l’esistenza di un mercato pronto a recepire i prodotti industriali e la disponibilità sia di notevoli quantitativi di pomodoro sia di parecchia manodopera pronta a lavorare nell’industria dopo aver lavorato, in molti casi, nella terra degli stessi padroncini in qualità di bracciante (57).
    Nel secondo dopoguerra ci fu una divisione dei padroncini in due categorie: da un lato quelli che chiameremo i padroncini subalterni, dall’altro quelli che chiameremo i padroncini autonomi; i padroncini subalterni furono quelli che, data la loro inferiorità dal punto di vista economico, solidarizzarono con il blocco economico-politico costituito dal vecchio padronato e dal nuovo padrone dei tabacchifici mentre i padroncini autonomi furono quelli che, non accettando la subalternità nei confronti del vecchio padronato, si opposero vivamente alle figure padronali dominanti (58). Il vecchio padronato offrì ai padroncini subalterni l’aiuto economico dello Stato ma ostacolò in ogni modo i padroncini autonomi i quali, per non essere più dominati, ricorsero sia alla lotta economica che alla lotta politica alleandosi con i contadini poveri e i braccianti, gli altri soggetti sociali della zona antagonisti rispetto alle vecchie figure padronali; unitamente a queste figure sociali essi rivendicarono, dal punto di vista economico, l’aumento del prezzo del pomodoro e l’eliminazione dei vecchi contratti agrari di compartecipazione (59) mentre dal punto di vista politico divennero figure di spicco all’interno delle forze politiche di sinistra della Piana del Sele (60).
    Uno degli effetti più rilevanti dell’impegno politico assunto dai padroncini autonomi fu il boicottaggio da parte del vecchio padronato nei confronti delle già deboli iniziative industriali da loro messe in piedi; soprattutto per questo motivo, ma anche per le loro carenti capacità manageriali, i padroncini autonomi furono costretti ad abbandonare, nel giro di pochi anni, l’industria di trasformazione del pomodoro e a dedicarsi ad altre attività economiche nell’ambito agricolo, commerciale o edilizio (61).

    I padroncini e lo Stato

    Il ricorso all’intervento economico dello Stato da parte dei padroncini subalterni si rese necessario a partire soprattutto dal secondo dopoguerra in seguito sia alla mancanza di una gestione economicamente razionale delle industrie sia alla crisi determinata dal predominio della grande industria conserviera; fu solo grazie allo Stato che i padroncini subalterni riuscirono a superare quasi indenni la crisi economica che attanagliò la piccola industria della zona negli anni ’50 (62). Ma questo non bastò perché rimasero inalterate le condizioni di partenza che avevano condotto alla crisi: da un lato permase il predominio economico delle grandi industrie conserviere mentre continuò la gestione non razionale degli impianti da parte dei padroncini subalterni; molti dei finanziamenti ottenuti furono, infatti, destinati ad un impiego non produttivo. Non si colse l’occasione, cioè, per dare un segno di tipo non speculativo alle industrie dei padroncini; alla lunga l’intervento dello Stato non basto più e la crisi economica degli anni ’60 determinò una caduta verticale delle industrie dei padroncini subalterni (63).
    Si coglie qui un interessante parallelismo di situazioni tra quella della piccola industria conserviera e quella dei tabacchifici della Piana del Sele; in entrambi i casi si è trattato di industrie che godevano di finanziamenti dello Stato e che erano caratterizzate da condotte economiche di tipo tutt’altro che razionale e in entrambi i casi si è registrata una grave crisi. La risposta dello Stato alla lunga non è servita a salvare queste industrie e progressivamente si è registrato un netto decurtamento degli aiuti finanziari (64).
    Resta da dire del personale politico al quale erano legati i padroncini subalterni. Essi ebbero, fin dall’immediato secondo dopoguerra, un rapporto stretto col padrone dei tabacchifici; grazie a lui godettero prima dei finanziamenti collegati alla ricostruzione della provincia di Salerno e poi di quelli della Cassa per il Mezzogiorno. Quando, però, la stella del padrone declinò i padroncini subalterni furono pronti a cogliere l’occasione per passare sotto la protezione del nuovo personale politico non più legato all’industria né alla Piana del Sele ma in grado di avere un rapporto privilegiato con le alte leve dello Stato (65).


    I padroncini in declino

    C’è una sostanziale differenza tra la parabola discendente dei padroncini autonomi e quella dei padroncini subalterni. Il declino dei padroncini autonomi non fu legato in maniera diretta alla crisi dell’industria conserviera ma lo fu soprattutto rispetto all’attività politica da essi svolta a partire dalla fine della seconda guerra mondiale; il declino dei padroncini subalterni fu, invece, maggiormente legato alla crisi dell’industria conserviera. Il declino dei padroncini autonomi fu dovuto ad una riaffermazione dell’egemonia del fronte padronale dopo la crisi dell’immediato dopoguerra, crisi che aveva consentito la vittoria politica della sinistra; tale egemonia si realizzò a seguito dell’alleanza tra il vecchio padronato, soprattutto quello agrario, il padrone dei tabacchifici e i contadini, che dopo la guerra erano entrati a far parte del blocco di sinistra (66). I padroncini subalterni furono, invece, penalizzati da altri fattori. Intorno agli anni ’50 il rapporto tra industria e agricoltura, che fino ad allora era stato decisivo nel consentire la sopravvivenza delle industrie, si incrinò perché vennero meno alcuni degli elementi che avevano favorito lo sviluppo della produzione industriale. In primo luogo venne meno la disponibilità finanziaria per procurarsi il pomodoro in zona; allora si presentò la necessità di utilizzare il pomodoro prodotto nell’agro nocerino-sarnese ma per fare ciò fu obbligato il ricorso all’aiuto finanziario di una figura sociale, il fornitore, che era un mediatore di prodotti ortofrutticoli generalmente originario dello stesso agro nocerino-sarnese (67). Da ciò derivò un grosso aumento della dipendenza finanziaria dei padroncini autonomi e di conseguenza il loro declino economico (68).



    CAPITOLO QUARTO: IL PADRONATO PUBBLICO. L’ENTE

    La gestione dei funzionari

    La nascita a Battipaglia, agli inizi degli anni ’60, del Concooper Sele d’Or, l’industria di trasformazione dei prodotti agricoli di proprietà dell’Ente di Riforma (che gestì la riforma agraria nella zona), segnò un fatto nuovo nel panorama industriale della Piana del Sele. L’industria dell’Ente di Riforma nacque fin dal primo momento con una netta caratterizzazione politica; i funzionari dell’Ente preposti, insieme ai presidenti delle cooperative agricole nate dopo la riforma, alla direzione svolsero anche un ruolo politico (69). Essi, che per molti anni sono stati i veri dirigenti dell’industria sebbene fossero una minoranza all’interno del consiglio d’amministrazione rispetto ai presidenti delle cooperative (70), furono i principali tramiti per l’afflusso di risorse economiche dallo Stato ai contadini assegnatari. I funzionari dell’Ente fecero valere il loro potere soprattutto in occasione dell’assunzione della manodopera stagionale, praticamente tutta sottoposta al loro vaglio. C’è in questa esperienza una somiglianza con quella del padrone dei tabacchifici; anche lui basò le sue fortune politiche sullo sfruttamento del consenso derivante dalla gestione del lavoro stagionale ma nel caso dell’industria dell’Ente il rapporto tra i funzionari e la manodopera stagionale fu più personale e diretto data la maggiore esiguità del numero di operai da assumere rispetto alle migliaia di assunzioni necessarie per i tabacchifici. Dell’esiguità delle assunzioni necessarie spesso, però, non si tenne conto data la stabile presenza di un organico largamente eccedente i bisogni della produzione; questo elemento nel corso degli anni costituì il principale motivo delle difficoltà finanziarie dell’industria dell’Ente (71).
    I presidenti esercitavano il loro ruolo dirigente soprattutto quando si trattava di dimostrare ai contadini assegnatari che essi si facevano portavoce dei loro interessi; ciò avveniva in particolare in due occasioni: quando i contadini conferivano il loro pomodoro all’industria, e in questo caso l’intervento dei presidenti tendeva ad evitare che i quantitativi da conferire fossero tagliati, e quando si trattava di fissare il prezzo del pomodoro da conferire (72). Queste erano anche le occasioni in cui tra i presidenti e i funzionari scoppiavano dei seri dissidi (73).
    Nell’industria dell’Ente si registrò la stessa gestione clientelare che si era avuta in occasione dell’attuazione della Riforma agraria nella zona; il rapporto di natura clientelare ebbe maggiori possibilità di esplicarsi in assenza di una coscienza democratica solidamente fondata, assenza comprovata anche dal mancato esercizio di un controllo dal basso dei soci delle cooperative sull’attività dei funzionari e dei presidenti. Ma il fatto che l’industria fosse di proprietà dello Stato ebbe anche delle influenze positive nel rapporto tra i funzionari e i contadini e tra i funzionari e gli operai; furono introdotte delle regole che costituirono delle novità in un panorama, quelle delle industrie conserviere della zona, in cui vigeva l’assoluta anarchia. Relativamente ai contadini furono introdotte la tara reale, cioè la corrispondenza della tara all'effettivo peso dell'imballaggio, l’utilizzo delle gabbiette di plastica per la raccolta del pomodoro e l’eliminazione dei tagli alle partite di pomodoro consegnate (74); relativamente agli operai fu introdotto il rispetto del contratto nazionale di lavoro della categoria (75).
    Un’altra novità nel rapporto tra industria dell’Ente e contadini assegnatari fu il ricorso a pratiche di credito agrario per fare concorrenza al sistema degli anticipi in denaro attuato dai mediatori che erano in rapporto con le industrie conserviere del settore privato; ma il ricorso al credito agrario fu un fallimento dato che le lungaggini burocratiche permisero a pochi contadini di usufruire dei crediti loro spettanti. Queste lungaggini, unitamente al mancato pagamento dei premi di produzione (sempre promessi e mai concessi) e alle snervanti attese cui furono costretti per poter ricevere il pagamento dei pomodori consegnati, furono le motivazioni che spinsero i contadini a tornare ai vecchi rapporti di sudditanza nei confronti dei mediatori, i fornitori tradizionali di pomodoro alle industrie private (76). Ma, in definitiva, i motivi più importanti per i quali le innovazioni introdotte dall’industria di Stato non riuscirono ad incidere in modo rilevante sui rapporti esistenti tra agricoltura e industria nella Piana del Sele furono che esse, essendo limitate ad una sola industria che lavorava un quantitativo non elevato di pomodoro, coinvolgevano un numero limitato di contadini e non riuscivano, quindi, a far elevare il prezzo del prodotto conferito (77); l’industria dell’Ente, condizionata anche dalla presenza di un numero eccessivo di operai e dai nuovi rapporti favorevoli per i contadini, alla lunga non riuscì ad essere concorrenziale con le altre industrie della zona e fece quindi registrare, nel giro di pochi anni, un rilevante deficit di gestione (78). Per eliminare questo deficit fu fatta una richiesta di intervento finanziario alla Regione Campania e alla Cassa per il Mezzogiorno; i risultati di questa dipendenza più stretta dall’intervento statale furono un accentuazione dell’intervento politico e un rafforzamento del rapporto, già esistente, tra i funzionari dell’Ente e alcuni politici nazionali di livello regionale e nazionale oltre ad una politicizzazione maggiore dei rapporti tra i funzionari, i contadini e gli operai. Fu questa l’occasione in cui nella Piana del Sele si evidenziò un’immagine della Dc quale partito che utilizzava in modo diretto anche l’industria per raggiungere i propri fini politici rispetto ad una forza politica che in passato era subalterna agli industriali privati (79); in questa fase si registrò il trapasso definitivo dalla gestione politica del padrone dei tabacchifici, risalente al 1948, alla nuova gestione, quella dei tecnici e dei professori, che segnò anche nella zona l’avanzata dei ceti medi nella direzione della Dc (80). Questo trapasso non è stato l’inizio di un’accesa controffensiva contro le vecchie figure dei padroni locali delle industrie ma è stato il segno di un ricambio al vertice del partito, di un partito che deteneva il potere e che, gestendo il potere, utilizzava le casse dello Stato per concedere agli industriali privati i finanziamenti che li legavano a loro mantenendoli in una posizione subalterna.
    Il rapporto politico diretto dei funzionari dell’Ente con lo Stato non riuscì, invece, a far uscire la loro industria dalla crisi dato che il deficit di bilancio rimase costante (81) e di fronte ai problemi dell’industria dell’Ente le forze politiche e sindacali della sinistra ebbero un ruolo subalterno dato che non riuscirono ad elaborare una strategia alternativa rispetto a quella dei funzionari; esse ebbero fin dai primi anni ’60 un atteggiamento eccessivamente conciliante nei loro confronti a causa delle suddette significative innovazioni introdotte nel rapporto con gli operai e con i contadini (82) Tale atteggiamento fece venir meno la capacità di distinguere gli elementi positivi dagli elementi negativi dell’esperienza; esso impedì alle suddette forze politiche e sindacali di criticare adeguatamente sia la diffusa pratica del clientelismo sia la cattiva gestione finanziaria. E’ estremamente significativo ciò che accadde nell’estate del 1963; in questo periodo in cui i contadini della Piana del Sele ottennero per la prima volta, dopo giorni di lotta, la contrattazione del prezzo del pomodoro con gli industriali conservieri della zona il comportamento dei rappresentanti della sinistra si differenziò a seconda se si trattava di lottare contro gli industriali privati o contro l’industria dell’Ente. E’ stato sottolineato che “L’alleanza dei contadini guida la protesta contro gli industriali conservieri piuttosto che contro l’Ente di Riforma per timore di una generica protesta antigovernativa” (83).

    L’ascesa dei presidenti

    La gestione clientelare ed inefficiente della Riforma agraria fece emergere con sempre maggiore nettezza i limiti dell’esperienza e rese improcrastinabile la necessità e l’urgenza di “riformare la Riforma”; un grosso ruolo nell’opera di denuncia e di spinta al cambiamento l’ebbe la sinistra che, dopo i primi anni di sostegno all’esperienza, era andata facendosi sempre più critica nei confronti delle forze politiche responsabili della direzione degli Enti di Riforma (84). Una considerevole spinta al cambiamento nella gestione degli Enti ci fu negli anni ’60; essa ebbe il suo sbocco nel 1969 dato che in quest’anno ci fu la trasformazione dell’Ente di Riforma in Ente di Sviluppo e di conseguenza, tra l’altro, la modifica degli statuti delle cooperative agricole costituite nel corso della Riforma (85). La modifica degli statuti ebbe come risultato più importante una drastica riduzione del potere di intervento dei funzionari dell’Ente sulle cooperative agricole e, in particolar modo, sull’elezione dei presidenti delle cooperative stesse. Fino ad allora i presidenti erano stati in gran parte imposti dall’alto dai funzionari; il risultato era stato l’elezione di una serie di presidenti che erano quasi tutti allineati politicamente con gli orientamenti dei funzionari (86).
    A seguito della modifica degli statuti anche nella Piana del Sele alcuni assegnatari che avevano posizioni politiche di sinistra poterono essere eletti presidenti; questo nuovo elemento, unitamente alle modifiche apportate alla composizione del Consiglio d’amministrazione dell’industria dell’Ente, che prevedevano una rappresentanza più qualificata dei presidenti rispetto ai funzionari, determinò notevoli cambiamenti nella gestione dell’industria dell’Ente. I nuovi presidenti contestarono in primo luogo, agli inizi degli anni ’70, la gestione clientelare dei funzionari praticata attraverso le assunzioni degli operai stagionali e la contestazione fu efficace se si considerano le minacce cui furono sottoposti i nuovi presidenti e gli indubbi miglioramenti che ne conseguirono sulla moralità del gruppo dirigente dell’industria dell’Ente (87).
    Le critiche dei presidenti ebbero i loro effetti soprattutto a partire dal 1973 allorchè venne approvata una nuova normativa che, riconoscendo all’industria dell’Ente lo statuto di impresa agricola, stabiliva che potevano essere assunti come operai stagionali solamente coloro che erano iscritti nelle liste dei braccianti agricoli dell’Ufficio di Collocamento (88); ciò comportò una notevole selezione del numero dei potenziali aspiranti al lavoro stagionale nell’industria dell’Ente e, di conseguenza, una drastica riduzione dello spazio di manovra politica dei funzionari. Contemporaneamente, come già scritto, si registrò un notevole aumento del potere dei presidenti; essi assunsero un crescente ruolo politico grazie ai rapporti che strinsero con la nuova direzione politica regionale dell’Ente di Sviluppo. Ciò provocò un cambiamento positivo nel comportamento dei funzionari nei confronti degli operai stagionali e dei contadini ma non bastò a determinare cambiamenti decisivi nella gestione finanziaria dell’industria dell’Ente; continuò, infatti, l’accumulazione di un deficit considerevole frutto sia di una gestione finanziaria non rigorosa sia di una sostanziale subalternità nei confronti delle scelte commerciali delle altre industrie conserviere della zona. Un esempio di questa subalternità fu la conduzione di una politica commerciale non autonoma ma affidata a grandi società commerciali italiane e anglo-americane; in tal modo vennero trascurate le potenzialità di assorbimento dei prodotti dell’industria dell’Ente da parte del mercato italiano (89). In conclusione, quindi, la gestione finanziaria dei presidenti non fu molto più oculata rispetto a quella dei funzionari; parecchi dei problemi ereditati dalla precedente gestione si aggravarono e l’industria dell’Ente assunse un ruolo sempre più marginale rispetto alle altre industrie conserviere della zona.



    CAPITOLO QUINTO: IL PADRONATO PUBBLICO DEI TABACCHIFICI

    La gestione dei vecchi dirigenti

    La cessione, negli anni ’50, di cinque tabacchifici da parte della SAIM all’ATI, un’azienda pubblica (90), determinò grossi cambiamenti nella struttura dirigenziale di questi tabacchifici; tutti i dirigenti della SAIM furono sostituiti da alcuni vecchi manager pubblici, dirigenti dell’ATI fin dall’epoca fascista (91). Si passò da dirigenti scelti quasi esclusivamente sulla base dei legami familiari e politici esistenti tra di loro e il padrone a dirigenti scelti sulla base delle loro doti manageriali; ciò al fine di dotare i tabacchifici di una gestione economicamente razionale (92). Fu naturale, quindi, che i dirigenti locali fossero impreparati quando la dirigenza centrale dell’ATI intensificò i controlli sui bilanci e, più in generale, sulla loro attività mediante frequenti ispezioni negli stabilimenti; ma l’impatto dell’attività di controllo dei nuovi dirigenti nazionali sui dirigenti locali non fu traumatico dato che tra loro si raggiunse una sorta di compromesso basato su reciproche concessioni. Da un lato i dirigenti locali cominciarono a praticare una gestione economica più rigorosa degli stabilimenti tanto è vero che nel giro di pochi anni fu riassestato il bilancio finanziario (93), dall’altro lato i dirigenti nazionali permisero che i dirigenti locali continuassero a svolgere il loro ruolo di controllori politici della gestione della manodopera.
    Il ruolo politico dei dirigenti locali cambiò, rispetto a quando al vertice dell’azienda c’era il padrone, e si accentuò; quando, infatti, a comandare era soprattutto il padrone essi erano inseriti nelle ultime fila di un sistema piramidale nel quale avevano scarse possibilità di poter svolgere un ruolo autonomo mentre con i nuovi dirigenti centrali, che invece erano poco interessati ad un’utilizzazione politica dei tabacchifici, i dirigenti locali ebbero la possibilità di muoversi più liberamente anche se nei primi anni della gestione ATI furono ancora politicamente legati al padrone.
    Determinante per l’assunzione di questo nuovo ruolo da parte dei dirigenti locali fu l’utilizzo dell’Ufficio di Collocamento (94). Durante la gestione SAIM l’Ufficio di Collocamento, pur facendovi annualmente ricorso il padrone per l’assunzione della manodopera stagionale che doveva lavorare il tabacco, non svolse un ruolo decisivo per affermare il suo potere nei confronti degli operai da assumere; esso servì più che altro a sancire il potere di veto nei confronti di chi aveva idee politiche diverse. La massa di operai da assumere era talmente grande (circa una decina di migliaia) da rendere praticamente inutile il ricorso a strumenti clientelari per garantirsi il consenso politico e le preferenze elettorali necessarie; il consenso era dato spontaneamente al “benefattore” di migliaia di famiglie della Piana del Sele (95). Con la gestione ATI il numero degli operai da assumere diminuì considerevolmente; per questo motivo la scelta degli operai da assumere diventò un’occasione importante, da parte dei dirigenti locali, per ottenere il consenso politico. Col tempo la gestione dell’Ufficio di Collocamento assunse un ruolo rilevante nel rapporto tra i dirigenti locali dei tabacchifici e il personale politico locale di origine piccolo-borghese che, nel frattempo, si era impadronito del potere politico (96).
    Anche il rapporto tra i dirigenti centrali dell’ATI e gli operai fu caratterizzato sia da elementi di continuità che da elementi di cambiamento rispetto alla gestione SAIM; il rapporto fu, anche in questo caso, autoritario anche se l’autoritarismo della gestione SAIM era venato di paternalismo, data la figura di grande imprenditore e uomo politico rappresentata dal padrone mentre l’autoritarismo dei nuovi dirigenti centrali (97) era del tutto privo di atteggiamenti paternalistici, presumibilmente a causa del loro mancato svolgimento nella zona di una specifica attività politica (98). Un altro elemento di continuità fu il comportamento nei confronti delle organizzazioni sindacali; in entrambi i casi ci fu un atteggiamento ostruzionistico nei confronti della CGIL e un rapporto collaterale con la CISL (99). Anche i nuovi dirigenti centrali non rispettarono i contratti nazionali di categoria e quindi non corrisposero agli operai nè i salari né le spettanze previdenziali previste dalla legge; essi, però, procedettero ad un notevole miglioramento tecnologico degli impianti sostituendo quelli più obsoleti con altri più moderni. Ciò nel giro di pochi anni provocò una rilevante eccedenza di manodopera e per questo motivo parecchi operai stagionali non furono riassunti (100).
    Il rapporto tra i dirigenti centrali e gli operai divenne sempre più teso fino alla rottura completa, che avvenne nel 1969, a seguito della minaccia di chiusura di uno degli stabilimenti di Battipaglia; ci furono mesi di sciopero (coincidenti con i cosiddetti moti di Battipaglia) ai quali seguì, nel 1970, un accordo con il quale furono sottoscritte parecchie concessioni e un nuovo tipo di rapporto tra dirigenti e operai, un rapporto che fu ereditato dai dirigenti dell’EFIM, subentrata all’ATI nel 1971 (101).


    La gestione dei nuovi dirigenti

    La suddetta cessione dei cinque stabilimenti di proprietà dell’ATI all’EFIM (102), uno degli enti di gestione delle partecipazioni statali, comportò un grosso cambiamento nel gruppo dirigente; molti nuovi dirigenti furono portatori di idee innovative all’interno dei tabacchifici dato che avevano una mentalità molto più avanzata e meno autoritaria rispetto a quella dei loro predecessori oltre ad una formazione tecnica più moderna. Essi, che si trovarono ad operare in un momento storico in cui, dopo lo scontro del 1969 e l’accordo del 1970, i rapporti politici e sociali erano più aperti (103), attribuirono un’importanza crescente al miglioramento delle tecniche finanziarie per il controllo dei bilanci e alla professionalità dei dirigenti locali; ciò comportò l’aumento delle assunzioni di queste figure tramite concorso e il progressivo abbandono dei vecchi metodi clientelari (104).
    Inoltre ci furono concessioni reciproche sia da parte dei nuovi dirigenti che da parte delle organizzazioni sindacali (105); i nuovi dirigenti concessero il blocco dei licenziamenti massicci, il riconoscimento pieno delle organizzazioni sindacali, un livello salariale corrispondente a quello stabilito dal contratto nazionale di lavoro, l’eliminazione della retribuzione solo stagionale mediante l’istituzione della Cassa integrazione nei periodi di stasi della produzione, il blocco dell’ulteriore meccanizzazione degli impianti mentre il sindacato concesse il blocco di nuove assunzioni, la corresponsabilizzazione nella gestione delle problematiche interne agli stabilimenti e un’attenzione particolare al buon andamento del bilancio aziendale (che avrebbe comportato, tra l’altro, il ricorso a fermate della lavorazione quando l’azienda avrebbe dovuto smaltire un surplus della produzione) (106).
    I rapporti collaborativi instauratisi all’interno dei tabacchifici dopo l’avvento dell’EFIM portarono alla riduzione pressochè totale della conflittualità ma se le molte novità introdotte nelle relazioni industriali risolsero molti problemi esse ne provocarono altri. L’abbandono dei principi della razionalità economica per far posto alla filosofia della non conflittualità provocò notevoli problemi di bilancio (107); essi derivarono dalla scarsa concorrenzialità all’interno di un settore sempre più agguerrito. Gli altri tabacchifici della Campania, non solo quelli privati, si avvantaggiarono della possibilità di rimanere strettamente legati alla stagionalità della lavorazione oltre che di non utilizzare personale in sovrannumero (108); è significativo che un dirigente di primo piano abbia criticato l’eccessiva politica che era stata fatta all’interno dei tabacchifici (109).
    Altre conseguenze dell’eliminazione della stagionalità dai tabacchifici della Piana del Sele furono la fine della funzione politica dei dirigenti locali (110) e la rottura del legame tra gli uomini politici locali e quest’industria; i dirigenti locali non potettero più utilizzare in modo clientelare le assunzioni per rafforzare il loro legame con gli uomini politici locali esterni agli stabilimenti mentre il rapporto degli uomini politici esterni con i tabacchifici non fu più basato su un interesse clientelare di tipo diretto ma su un interesse generale a salvaguardare l’occupazione per evitare gli effetti negativi che la sua eventuale diminuzione avrebbe provocato nella sua zona elettorale.




    NOTE

    1) Per una ricostruzione delle lotte contadine nel Salernitano nel primo dopoguerra vedi MARCO BERNABEI: Leghe bianche, leghe rosse e lotte per la terra nel Salernitano nel primo dopoguerra, in PIETRO LAVEGLIA (a cura di): Mezzogiorno e Fascismo, vol. I, ESI, Napoli 1978.
    2) LUIGI GRAZIANO: Clientela e politica nel Mezzogiorno, in PAOLO FARNETI (a cura di): Il sistema politico italiano; Il Mulino, Bologna, 1973, p. 226. Ora anche in LUIGI GRAZIANO: Clientelismo e sistema politico; Franco Angeli, Milano, 1980, p. 143.
    3) Intervista – Eboli, 27/5/1978.
    4) Sulla storia della SAIM vedi DIOMEDE IVONE: Carlo Petrone: un cattolico intransigente del Mezzogiorno; Libreria Internazionale Editrice, Salerno, 1973 (in particolare il capitolo IV: La SAIM e la polemica con Carmine De Martino).
    5) Cfr. DIOMEDE IVONE: Carlo Petrone, cit.
    6) Intervista – Napoli, 9/6/1978. Sull’analogo atteggiamento dei proprietari terrieri in Italia nei confronti dell’operazione di bonifica integrale cfr. VALERIO CASTRONOVO: La storia economica, in AA. VV.: Storia d’Italia, Vol. IV, tomo I: Dall’Unità ad oggi; Einaudi, Torino, 1975, pp. 276 e segg. e JORDIN S. COHEN: Un esame statistico delle opere di bonifica intraprese durante il regime fascista, in GIANNI TONIOLO ( a cura di): Lo sviluppo economico italiano. 1861-1940; Laterza, Bari, 1973.
    7) Cfr. AA. VV.: Ecco Salerno – Il Capoluogo e la Provincia nel loro continuo divenire; Editrice Agenzia “Servizi Giornalistici”, Salerno, 1958.
    8) GIUSEPPE ACOCELLA: Aspetti del movimento sindacale cattolico nel primo e nel secondo dopo guerra a Salerno, in PIETRO LAVEGLIA (a cura di): Mezzogiorno e fascismo, cit., Vol. II, p. 17.
    9) Sul rapporto tra agrari e fascismo in provincia di Salerno vedi GIUSEPPE ACOCELLA; Aspetti del movimento sindacale cattolico, cit., p. 18.
    10) Intervista – Eboli, 29/5/1978.
    11) Per il rapporto tra gli agrari e lo Stato dopo l’Unità d’Italia vedi EMILIO SERENI: Capitalismo e mercato nazionale; Editori Riuniti, Roma, 1966.
    12) Intervista – Napoli, 9/6/1978. Per una descrizione delle modalità con le quali avvenne l’usurpazione degli usi civici su scala nazionale vedi GIUSEPPE ORLANDO: Progressi e difficoltà dell’agricoltura, in GIORGIO FUA’ (a cura di): Lo sviluppo economico in Italia. Storia dell’economia italiana degli ultimi cento anni, Vol. III; Giuffrè, Milano, 1969, p. 22.
    13) Intervista – Napoli, 9/6/1978.
    14) Intervista – Eboli, 29/5/1978.
    15) Quest’interpretazione dei rapporti tra agrari e Stato fascista nella Piana del Sele contrasta con l’interpretazione dei rapporti tra agrari e fascismo in Italia data da PIER LUIGI PROFUMIERI: La “battaglia del grano”: costi e ricavi, in “Rivista d’agricoltura”, n. 3, 1971.
    16) Intervista – Eboli, 29/5/1978.
    17) SALVATORE CASILLO: Sviluppo economico e vicende politiche in una provincia meridionale: il caso del Salernitano, in “Basilicata”, nn. 7-12, 1973, p. 4.
    18) Intervista – Napoli, 9/6/1978.
    19) SALVATORE CASILLO: Sviluppo economico, cit., p. 4.
    20) Sulla riforma agraria in Italia vedi GIUSEPPE BARBERO: Riforma agraria italiana. Risultati e prospettive; Feltrinelli, Milano, 1960; GIOVANNI ENRICO MARCIANI: L’esperienza di riforma agraria in Italia; Giuffrè, Milano, 1966; PAOLO PEZZINO: La riforma agraria in Italia dal 1950 al 1965, in “Monthly Review”, ed. italiana, giugno-settembre 1972; ID.: La riforma agraria in Calabria; Feltrinelli, Milano, 1979; MANLIO ROSSI-DORIA: La riforma sei anni dopo (1957), in ID.: Dieci anni di politica agraria nel Mezzogiorno; Laterza, Bari, 1959; EMILIO SERENI: Vecchio e nuovo nelle campagne italiane; Editori Riuniti, Roma, 1956.
    21) Intervista – Napoli, 9/6/1978.
    22) Sull’alleanza tra rendita e profitto dopo l’Unità d’Italia vedi EMILIO SERENI: Capitalismo e mercato nazionale, cit.
    23) Intervista – Eboli, 27/5/1978.
    24) Intervista – Napoli, 9/6/1978.
    25) Intervista – Battipaglia, 27/11/1978.
    26) Intervista – Eboli, 29/5/1978.
    27) Intervista – Eboli, 29/5/1978.
    28) SALVATORE CASILLO: Lo sviluppo economico, cit., p. 4.
    29) In DIOMEDE IVONE: Carlo Petrone, cit. vi sono tutte le notizie relative all’ascesa di Carmine De Martino e all’andamento economico della SAIM.
    30) SALVATORE CASILLO: Sviluppo economico, cit., p. 4.
    31) Sul mancato contrasto degli interessi padronali da parte dei sindacati cattolici della provincia di Salerno negli anni ’50 vedi GIUSEPPE ACOCELLA: Aspetti del movimento sindacale, cit., p. 27. Sul paternalismo industriale vedi JOHN W. BENNETT: Paternalism, in DAVID L. SILLS (ed.): International Encyclopedia of the Social Sciences, Vol. 11, Macmillan, New York, 1968.
    32) Intervista – Salerno, 29/4/1978.
    33) Intervista – Salerno, 9/4/1979.
    34) Intervista – Battipaglia, 18/9/1978.
    35) Sul rapporto tra Chiesa cattolica e contadini nel Mezzogiorno durante la ricostruzione postbellica vedi AA. VV.: Operai e contadini nella crisi italiana del 1943/1944; Feltrinelli, Milano, 1974.
    36) Intervista – Salerno, 18/5/1978.
    37) SALVATORE CASILLO: Sviluppo economico, cit., p. 4.
    38) Sul rapporto tra padronato industriale e Stato in Italia vedi GUIDO BAGLIONI: L’ideologia della borghesia industriale nell’Italia liberale; Einaudi, Torino, 1974, pp. 18 e segg. Per un inquadramento più generale del suddetto rapporto vedi JAMES O’CONNOR: La crisi fiscale dello Stato (ed. or. 1973); Einaudi, Torino, 1977, pp. 101 e segg.
    39) DIOMEDE IVONE: Carlo Petrone, cit., cap. IV.
    40) DIOMEDE IVONE: Carlo Petrone, cit., cap. IV.
    41) SALVATORE CASILLO: Sviluppo economico, cit., p. 4.
    42) SALVATORE CASILLO: Sviluppo economico, cit., p. 4. Intervista – Napoli, 9/6/1978.
    43) SALVATORE CASILLO: Sviluppo economico, cit., p. 5. Sulla svolta della DC a metà degli anni ’50 si vedano GIORGIO GALLI – PAOLO FACCHI: La sinistra democristiana; Feltrinelli, Milano, 1962; ALFIO MASTROPAOLO: I partiti e la società civile, in PAOLO FARNETI (a cura di): Il sistema politico italiano; Il Mulino, Bologna, 1973; PAOLO UNGARI: Dal centro-destra al centro-sinistra, in MATTEI DOGAN – ORAZIO MARIA PETRACCA (a cura di): Partiti politici e strutture sociali in Italia; Comunità, Milano, 1968; GIORGIO GALLI: Fanfani; Feltrinelli, Milano, 1975; RUGGERO ORFEI: L’occupazione del potere. I democristiani ’45/’75; Longanesi & C., Milano, 1976.
    44) Sul ricambio nella direzione del partito democristiano in provincia di Salerno negli anni ’60 si veda MAURO CALISE: Il sistema DC; De Donato, Bari, 1978, pp. 14 e segg.
    45) Intervista – Salerno, 18/5/1978.
    46) Su un analogo atteggiamento da parte di altri esponenti democristiani si veda VALERIO CASTRONOVO: La storia economica, cit., p. 392.
    47) NINO FRANCO: Ricordo di Carmine De Martino; L’Arte tipografica, Napoli, 1964, p. 13.
    48) NINO FRANCO: Ricordo di Carmine De Martino, cit., pp. 12-13.
    49) SALVATORE CASILLO: Sviluppo economico, cit., p. 5.
    50) Sugli effetti del “decreto Visocchi” in Campania e nel Salernitano si veda MARCO BERNABEI: Leghe bianche, leghe rosse, cit., p. 195.
    51) Sulle consistenti somme spese per la bonifica in provincia di Salerno vedi JORDIN S. COHEN: Un esame statistico delle opere di bonifica, cit., p. 358.
    52) Intervista – Battipaglia, 5/5/1978.
    53) Intervista – Salerno, 29/4/1978.
    54) Intervista – Battipaglia, 5/5/1978.
    55) Intervista – Battipaglia, 13/4/1978. Intervista – Salerno – 18/5/1978.
    56) GAETANO DI MARINO: Il problema dell’industria in provincia di Salerno e la recente lotta alla M.C.M., in “Cronache Meridionali”, n. 9, settembre 1955.
    57) Intervista – Eboli, 27/5/1978.
    58) Intervista – Battipaglia, 5/5/1978.
    59) Intervista – Eboli, 27/5/1978. Sui contratti di compartecipazione nella Piana del Sele vedi PASQUALE VILLANI: La provincia di Salerno: società e politica, in PIETRO LAVEGLIA (a cura di): Mezzogiorno e Fascismo, cit., p. 263; SERGIO ALINOVI: Problema contadino, cit., p. 27; LUIGI GRAZIANO: Clientelismo e sistema politico, cit., p. 139. Sulla compartecipazione in Italia cfr. GIORGIO GIORGETTI: Contadini e proprietari nell’Italia moderna; Einaudi, Torino, 1974, p. 468.
    60) Intervista – Salerno, 29/4/1978.
    61) Intervista – Battipaglia, 5/5/1978.
    62) Intervista – Napoli, 9/6/1978.
    63) Per la politica dei sussidi alle piccole industrie del Mezzogiorno vedi AUGUSTO GRAZIANI (a cura di): L’economia italiana 1945-1970; Il Mulino, Bologna, 1972, p. 67.
    64) Per la prevalenza odierna della politica di sviluppo del Mezzogiorno basta sul criterio dell’efficienza piuttosto che su quello della difesa dei livelli occupazionali si veda AUGUSTO GRAZIANI (a cura di): L’economia italiana, cit., p. 68.
    65) Intervista – Salerno, 29/4/1978. Sul nuovo personale politico democristiano vedi MAURO CALISE: Il sistema Dc, cit., pp. 163-164.
    66) Intervista – Eboli, 29/5/1978.
    67) Sulla nascita della categoria del fornisore vedi MAURO CALISE: Il sistema Dc, cit., pp. 103 e segg.
    68) Intervista – Battipaglia, 13/4/1978. Su un analogo fenomeno nell’agro nocerino-sarnese cfr. MAURO CALISE: Il sistema Dc, cit., pp. 105 3 segg.
    69) Intervista – Nocera Inferiore, 8/7/1978. Si veda MANLIO ROSSI-DORIA: La riforma sei anni dopo, cit., p. 130.
    70) Intervista – Pagani, 21/7/1978.
    71) Intervista – Battipaglia, 20/7/1978. Vedi anche la relazione dell’Ente di sviluppo della Regione Campania intitolata “La situazione attuale del Concooper Sele d’Or-Ortofrutticoli salernitani associati di Battipaglia a venti anni dalla sua costituzione e prospettive a breve e medio periodo”; Regione Campania, giugno 1978.
    72) Intervista – Pagani, 21/7/1978.
    73) Intervista – Nocera Inferiore, 8/7/1978
    74) Intervista – Battipaglia, 14/7/1978
    75) Intervista – Pagani, 21/7/1978
    76) Intervista – Battipaglia, 20/7/1978
    77) Intervista – Nocera Inferiore, 8/7/1978
    78) Vedi la relazione dell’Ente di sviluppo della Regione Campania su citata.
    79) Sull’utilizzo democristiano dell’industria pubblica in Italia vedi EUGENIO SCALFARI - GIUSEPPE TURANI: Razza padrona; Feltrinelli, Milano, 1974.
    80) Su questo argomento vedi GIANNI BAGET-BOZZO: Il partito cristiano al potere; Vallecchi, Firenze, 1974.
    81) Intervista – Nocera Inferiore, 8/7/1978.
    82) Su un analogo atteggiamento della CGIL nei confronti dell’industria di Stato vedi ARIS ACCORNERO: Per una nuova fase di studi sul movimento sindacale, in ARIS ACCORNERO -ALESSANDRO PIZZORNO - BRUNO TRENTIN - MARIO TRONTI: Movimento sindacale e società italiana; Feltrinelli, Milano, 1977, p. 113.
    83) Il prezzo del pomodoro in provincia di Salerno, in “Cronache meridionali”, n. 9, 1963, p. 89.
    84) MANLIO ROSSI-DORIA: La riforma sei anni dopo, cit., p. 136.
    85) Intervista – Pagani, 21/7/1978.
    86) Intervista – Nocera Inferiore, 8/7/1978.
    87) Intervista – Pagani, 21/7/1978.
    88) Intervista – Battipaglia, 20/7/1978.
    89) Intervista – Nocera Inferiore, 8/7/1978.
    90) Sull’impresa pubblica in Italia si vedano i saggi di ANDREW SHONFIELD: L’impresa pubblica: modello internazionale o specialità locale? e FRANCESCO FORTE: L’impresa: grande, piccola, pubblica, privata, in FABIO LUCA CAVAZZA - STEPHEN R. GRAUBARD: Il caso italiano, 2 volumi; Garzanti, Milano, 1974.
    91) Intervista – Battipaglia, 21/9/1978.
    92) Per riscontrare un’analoga ideologia in tutte le imprese pubbliche italiane vedi ANDREW SHONFIELD: L’impresa pubblica, vol. 2, cit., pp. 270-291.
    93) Intervista – Pontecagnano Faiano, 28/10/1978.
    94) LUIGI GRAZIANO: Clientelismo e politica nel Mezzogiorno, cit., pp. 226-227 e ID.: Clientelismo e sistema politico, cit., p. 143.
    95) Intervista – Salerno, 29/3/1979
    96) Intervista – Salerno, 5/10/1978
    97) Intervista – Salerno, 5/10/1978
    98) Intervista – Battipaglia, 18/9/1978.
    99) Sul rapporto tra la CISL e il padronato in Italia vedi ARIS ACCORNERO: Per una nuova fase di studi sul movimento sindacale, cit., pp. 98 e segg.
    100) Intervista – Salerno, 5/10/1978.
    101) Intervista – Battipaglia, 18/9/1978.
    102) Sull’EFIM vedi FRANCESCO FORTE: L’impresa, cit., p. 357.
    103) Per un’analisi del centro-sinistra in Italia vedi GIUSEPPE TAMBURRANO: Storia e cronaca del centro-sinistra; Feltrinelli, Milano, 1971.
    104) Intervista – Battipaglia, 21/9/1978.
    105) Intervista – Battipaglia, 18/9/1978.
    106) Intervista – Battipaglia, 21/9/1978.
    107) Intervista – Pontecagnano Faiano, 23/10/1978. Si veda
    108) ARNALDO BAGNASCO – SALVATORE CASILLO –
    109) GIUSEPPE BONAZZI: L’organizzazione della marginalità. Industria e potere in una provincia meridionale; L’industria, Torino, 1972.
    110) Intervista – Pontecagnano Faiano, 23/10/1978.
    111) Intervista – Pontecagnano Faiano, 23/10/1978.
    112) Intervista – Battipaglia, 21/9/1978.

    Edited by Franco Pelella - 29/3/2023, 09:11
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