1. UN’ANOMALIA DA CORREGGERE: L’ECCESSIVO POTERE DEI PRESIDENTI REGIONALI

    By Franco Pelella il 25 Jan. 2023
     
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    Si sta discutendo molto negli ultimi mesi dell’autonomia differenziata delle regioni e del rischio che una maggiore autonomia delle regioni penalizzi le regioni meridionali rendendo quelle settentrionali più forti economicamente di quello che già sono adesso. Il dibattito è molto acceso e le posizioni sono contrastanti. I governatori delle regioni del Nord rassicurano sul fatto che l’autonomia differenziata non penalizzerebbe le regioni meridionali ma l’opinione pubblica meridionale è giustamente diffidente.
    Ma sono contrastanti anche le opinioni sul regionalismo dato che stanno aumentando coloro che danno un giudizio negativo sull’esperienza regionalistica. Essi si basano soprattutto sulla cattiva prova data da molte regioni nel momento in cui la crisi Covid 19 si è fatta più acuta. Ma io penso che la situazione delle regioni italiane non sia molto diversa da quanto riscontrato dal sociologo statunitense Robert Putnam nel 1993, quando scrisse il famoso libro Making Democracy Work: Civic Traditions in Modern Italy (tradotto in italiano con il titolo La tradizione civica nelle regioni italiane). Quello che verificò Putnam, e che credo sia sostanzialmente verificabile anche adesso, è che le regioni del Nord di solito funzionano meglio di quelle del Sud per varie ragioni ma che fondamentalmente il loro funzionamento è migliore perché nel Nord c’è un senso civico più sviluppato che nel Sud.
    Ciò che, però, non può essere messo in discussione è l’anomalia derivante dal potere abnorme di cui stanno godendo i presidenti delle regioni. Tale peculiarità è emersa soprattutto durante la crisi del Covid 19, quando essi si sono autoattribuiti un potere (quello di gestire un’emergenza sanitaria nazionale) che la Costituzione attribuisce al governo centrale e che il governo centrale non è stato in grado di strappare loro. Ma il potere abnorme era emerso già in altre occasioni. Ad esempio quando il presidente del Veneto Luca Zaia è riuscito a fare (imponendo al Consiglio regionale veneto la modifica dello Statuto) un terzo mandato che la Costituzione non prevede oppure quando il presidente della Campania Vincenzo De Luca ha preso decisioni fortemente contrastanti con quelle del governo nazionale o ha offeso più volte i componenti del governo senza essere sanzionato.
    Ha fatto bene, perciò, il sociologo Sergio Marotta (Moderne signorie crescono; Corriere del Mezzogiorno, 7/12/2022) a sottolineare l’abnorme potere di cui godono oggi i presidenti delle regioni richiamando quanto sostenuto dal magistrato Michele Oricchio (che ha pubblicato nel 2020 il libro La questione istituzionale nell’Italia delle nuove Signorie) e dal compianto costituzionalista Gianni Ferrara.
    Questi aveva individuato l’origine del cortocircuito istituzionale tra Stato e Regioni, non tanto e non solo nella sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta nel 2001, bensì nella doppia matrice della legittimazione politica dei quindici presidenti delle regioni a statuto ordinario rispetto a quella del governo nazionale. Questa doppia matrice fu malauguratamente introdotta con la riforma costituzionale del 1999 che estese ai presidenti delle regioni la legge sull’elezione diretta dei sindaci. Il testo dell’articolo 122 della Costituzione, come modificato nel 1999, prevede infatti che i presidenti delle giunte regionali possano essere eletti a suffragio universale mentre il nuovo testo dell’articolo 126 prevede che soltanto la mozione di sfiducia nei confronti del presidente della giunta eletto a suffragio diretto può provocare lo scioglimento del Consiglio regionale che, quindi, è un organo necessariamente subordinato al presidente, salvo suicidio politico.
    Secondo Sergio Marotta Gianni Ferrara definiva il nuovo assetto dei poteri dei presidenti delle regioni a Statuto ordinario come un vero e proprio «feudalesimo elettivo», perché l’incremento del potere delle regioni è in realtà un incremento del potere dei presidenti delle giunte regionali, non temperato da nessun altro. Insomma se il Titolo V del 2001 era, secondo Ferrara, un monumento all’«insipienza giuridica e politica» — dove per insipienza deve intendersi «ignoranza, stoltezza intellettuale o morale, ottusità di spirito» —, la coesistenza tra la riforma del 1999 e quella del 2001 ha dato luogo a un unicum nei sistemi costituzionali degli Stati unitari occidentali che pone i presidenti delle regioni in un potenziale conflitto politico permanente con il governo nazionale.
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