Replying to RIFLESSIONI DI VARI STUDIOSI RELATIVE AL MIO SAGGIO BREVE "LA LUNGHISSIMA DURATA DELLA QUESTIONE MERIDIONALE"

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  1. Posted 29/10/2022, 09:11
    Caro Collega, La ringrazio di avermi inviato il suo testo, che ho letto rapidamente. In breve alcune considerazioni.
    a. credo che occorra distinguere i momenti nei quali nel sud ci sono delle diversità rispetto al nord italia (e ovviamente rispetto ad altre regioni) e quando queste diversità diventano una "questione".
    b. che esista un "sud" ben definito e dai caratteri unitari, questo è contestato da tutta la storiografia, in particolare quella meridionalistica. La rivista Meridiana nasce proprio intorno a questo presupposto
    c. nel medioevo, in particolare, non possiamo parlare di un sud unitario. Le coste, ad esempio, hanno una vita, una cultura e un'economia totalmente diverse da quelle interne.
    d. non si può parlare di sottosviluppo o povertà particolare del sud, nè per il medioevo, nè per gran parte della storia moderna. Esistono nel sud aree sviluppatissime (per esempio, l'urbanizzazione del sud - puglia e campania - durante il medioevo è superiore a gran parte dell'Europa. Non dimentichiamo che queste erano terre dell'impero. Lo stesso si dica per l'età moderna. Lo studio dei traffici di età sei-settecentesca mette in evidenza una vivacissima vita economica.
    e. Braudel ha aperto la strada agli studi mediterranei. Dopo la quantità di studi che si è sviluppata è notevolissima e ne ha - giustamente - messo in discussione molte conclusioni.
    IN sostanza: sono perfettamente d'accordo con gli assunti principali del suo contributo (che non va dimenticato il lungo periodo nell'analisi storica e che bisogna avere uno sguardo amplissimo, anche per capire fenomeni singoli). Ma - sulla base di questo assunto - negli ultimi decenni si sono sviluppati studi sulla meridionalistica che mettono in crisi molti degli aspetti che un tempo erano considerati acquisiti (compresa la ricostruzione di Galli della Loggia).
    Vorrei essere più preciso, ma il meridionalismo non è la mia specializzazione. Sono solo un medievista passato alla didattica. Prenda, perciò, queste mie considerazioni con il beneficio di inventario, come il contributo di un semplice lettore.
    Antonio Brusa – 14/9/2022
    Caro professor Brusa, La ringrazio molto per le Sue osservazioni. E’ chiaro che il Sud non è tutto uguale; le aree costiere sono diverse dalle aree montane. Esse sono più ricche ma in esse è presente anche una maggiore criminalità organizzata. Quello che, però, unifica il Sud è soprattutto la mentalità, una mentalità che (sintetizzando) Galli della Loggia e Schiavone hanno definito “extralegale”. Purtroppo la civilizzazione introdotta dai colonizzatori greci molti secoli fa non è riuscita a fare breccia.
    Franco Pelella – 15/9/2022

    Si tratta di un vero e proprio saggio. Forse va sfrondata la parte troppo lunga e prolissa di natura archeologica. A me interessa molto la prima parte su Armitage e Guidi.
    Aurelio Musi – 14/9/2022
    Caro professor Musi, dopo aver letto il Suo Mezzogiorno moderno e seguendo le Sue precedenti indicazioni ho modificato il mio saggio.
    Franco Pelella – 20/10/2022
    Ora mi pare che vada abbastanza bene.
    Aurelio Musi – 24/10/2022

    Gentile dott. Pelella, nel ringraziarLa dell'invio del suo testo (che mi permetto di inoltrare anche a due miei collaboratori che si occupano, tra le altre cose, della problematica della pastorizia transumante nel Sud nella preistoria) e nel concordare con lei sulla caratteristica di "lunga durata" dell'economia pastorale nel Meridione. A parte diverse possibili osservazioni devo comunque correggerla su una cosa; Peroni non ha mai scritto che siti come Roma, Bologna o Taranto sono centri protourbani nella media età del bronzo (come correttamente ha scritto lei più avanti è un fenomeno della prima età del ferro), si è solo limitato ad osservare la durata millenaria della loro occupazione.
    Alessandro Guidi – 15/9/2022
    Pensa che il mio testo sia pubblicabile?
    Franco Pelella – 15/9/2022
    Beh, la parte archeologica così com'è in un blog ci può stare ma certamente non può essere pubblicata (vedi ad esempio teorie superate su inumazione e incinerazione o altro...).
    Alessandro Guidi – 15/9/2022
    Mi potrebbe fare la cortesia di segnalarmi le cose che non vanno nella parte archeologica?
    Franco Pelella – 15/9/2022
    Ad esempio: perché rappresentò la matrice della cultura lazio-tosco-emiliana di Villanova, e – mediante questa – della civiltà etrusca e di quella romana. Il Sud con parte del Centro si sono prima staccati dal resto della penisola e poi, nella lotta fra élites per il dominio del territorio, hanno perso per una ragione molto precisa: il loro ostinato attaccamento alla propria, ormai millenaria, economia pastorale; a nord del Tevere, infatti, si introdussero allora grandi innovazioni come gli strumenti agricoli in ferro – primo fra tutti il vomere, per la prima volta metallico – e come l’adozione di un nuovo tipo di agricoltura mista, modello di produzione economica vincente e base comune, ancora oggi, per lo sviluppo delle civiltà urbane socialmente stratificate del nostro mondo. L’area a sud del Tevere, dove si trovavano le aree «a vocazione decisamente pastorale» (34), emerse invece allora come area eminentemente conservatrice e la linea Roma-Ancona assunse, per gli archeologi, il valore di confine culturale, più precisamente tafologico, caratterizzato anche dalla differenza tra l’inumazione tradizionale del Sud e l’innovazione della cremazione a Nord. Confine dialettale, confine ideologico e culturale: la convergenza non poteva che essere strutturale dato che nacque quando i due mondi – centro-nord e centro-sud – ancor prima della nascita di Roma si divisero definitivamente.
    Tutto questo paragrafo non si poggia su serie basi storiche, visto che differenze di culture esistono da sempre (dal Neolitico!!) tra nord, centro e sud e così anche differenze di riti sepolcrali; allo stesso tempo i grandi centri protourbani che certamente vivevano di una base agricola sorgono nel primo ferro quando gli strumenti in ferro (scusi il gioco di parole) quasi non esistono, visto che i manufatti metallurgici sono quasi tutti in bronzo.
    Allo stesso tempo una discreta unità culturale (sia pure con differenti varietà dialettali) nel centro-sud dopo l'Appenninico si realizza sia con il Subappenninico che con il Protovillanoviano (in questo caso coinvolgendo anche parte del nord) poi con l'età del ferro le culture sono tutte diverse nelle diverse regioni e la loro distribuzione (come ben rilevò per primo Pallottino) corrisponde bene a quella delle regiones augustee.
    Detto questo l'intuizione dell'importanza della civiltà pastorale (ma non dappertutto!) appenninica come sottofondo di una longue durée del pastoralismo nel Sud è tutt'altro che peregrina...
    Alessandro Guidi – 16/9/2022
    La ringrazio molto. Cercherò di modificare il mio lavoro seguendo le Sue indicazioni.
    Franco Pelella – 16/9/2022

    Caro Franco, ottimo saggio!
    Marco Travaglio – 16/9/2022

    Ho letto con interesse il suo saggio. E’ una rassegna ben documentata e di ampio respiro. Personalmente ho mantenuto come punti di riferimento essenziali Galasso, Del Treppo e Villani. Non sono mai stato affascinato da Banfield. Come scrissi a Sales ho forti dubbi su una “autobiografia criminale della nazione”. Nemmeno l’inchiesta di Della Loggia e Schiavone mi ha entusiasmato. Ma sono solo mie preferenze.
    Francesco Barbagallo – 23/10/2022

    Ho letto subito con grande interesse il suo articolo. Sono daccordissimo con la parte iniziale sul lungo periodo. Meno d'accordo sono con la sua ricostruzione delle ragioni della divergenza Nord-Sud. Sotto un certo profilo, il mio lungo periodo è più breve del suo. Ma poniamo, per esempio, che dopo l'Unità il Sud sia cresciuto più del Nord e meglio del Nord. Allora la ricostruzione di lunghissimo periodo sarebbe: mentre il Nord è stato sempre diviso in comuni e piccoli stati in lotta l'uno con l'altro, con città che impedivano la formazione di uno stato unitario, senza una vera capitale, senza una solida struttura feudale (come quella che troviamo nei grandi stati europei a nord delle Alpi), il Sud invece era un grande stato unitario, con una grande capitale, con un'organizzazione di tipo "feudale" e nazionale assai più simili ai grandi stati europei che si formarono nel Tre-Quattrocento, con una grande cultura di stampo illuministico... La spiegazione filerebbe liscia e convincente. In realtà, sotto un altro profilo, mi trovo ad essere più favorevole di lei alla ricostruzione di lungo periodo, pensando che la geografia del Nord e del Sud abbia svolto una funzione decisiva; e la geografia dell'Italia si formò ben prima dell'età del bronzo dalla quale lei prende le mosse.
    Paolo Malanima – 24/10/2022
    Caro professor Malanima, La ringrazio molto per aver letto il mio lavoro. E' vero che la geografia del Nord e del Sud (e quindi il paesaggio storico) ha avuto una grande influenza sui destini delle due aree ma l'influenza, purtroppo, è stata maggiormente negativa per il Sud che per il Nord. L'arretratezza storica del Sud, dovuta molto anche alla sua conformazione geomorfologica, si è ripercossa sulla mentalità dei meridionali (una mentalità extralegale, come dicono Della Loggia e Schiavone).
    Franco Pelella – 24/10/2022

    Gentile dottor Pelella, penso non sia un saggio ma un insieme di schede ben scritte.
    Daniela Ciccolella – 24/10/2022
    Cara dr.ssa Ciccolella, è vero che il mio lavoro non è un saggio ma penso che sia comunque un valore sottolineare quello che sulla storia del Mezzogiorno hanno scritto degli autori finora troppo sottovalutati e nel mettere assieme con un filo logico le tesi di questi e altri autori. Mi sembra che il mio lavoro sia comunque valido dato che esso propone dell'argomento studiato una lettura originale e documentata.
    Franco Pelella – 24/10/2022

    Gentile dottore, ho letto il suo contributo e, come immaginavo, non ho molto da dire, se non qualcosa sull'età medievale. Non apro infatti bocca sulla storia del Mezzogiorno dal Cinquecento a oggi, perché sono rimasto fermo a qualche antichissima lettura universitaria (appunto Galasso, Villari etc.). Trovo che la lunga durata sia un concetto da maneggiare con molta cautela, perché, portato alle sue estreme conseguenze, condurrebbe alla fine della storia. Convengo, peraltro, che la microstoria, a meno che non serva a indagare una struttura (come fece Leroy Ladurie per Montaillou) spiega poco, perché eccessivamente puntuale. Esiste però un modo di guardare agli eventi che dia conto di una struttura dalla durata piuttosto lunga (due o tre secoli) ma che manifesti chiari i segni del cambiamento. Quanto al periodo medievale, ritengo che all'epoca non fosse presente alcuna forma di criminalità organizzata (il brigantaggio è ovunque in Europa e il saggio di Cherubini è un centone di seconda mano); che il feudalesimo (più correttamente la signoria), anch'esso presente su larghissima parte d'Europa, non c'entri nulla con la questione meridionale; e che nulla c'entri il fenomeno cittadino e comunale, che è relativo alla forma di governo pubblico e istituzionale, senza dire che anche nel Mezzogiorno c'erano città di dimensioni notevoli per l'epoca. Resta il tema economico, fortissimo e serio. Il mio parere (che ho esplicitato in un recente volume: "Alle origini del mercato nazionale") è che la prima area a risvegliarsi economicamente quasi subito dopo il crollo dell'impero romano sia stata la valle del Po, gravitante su Venezia, che a sua volta, sviluppandosi, costituì un fortissimo catalizzatore di domanda, e trascinò con sé il grande sviluppo di tutta l'area padana e di parte della toscana. Buona parte del Mezzogiorno non agganciò quello sviluppo se non in piccola misura e non vi rimase vicino oltre i primi decenni del XV secolo. Mi scuso per la brevità e il tono secco ma in una mail è difficile dire di più.
    Bruno Figliuolo – 26/10/2022
    Caro professor Figliuolo, non credo che l’utilizzo del concetto di lunga durata (se correttamente usato seguendo soprattutto le indicazioni di Braudel) possa portare alla fine della storia. Anzi il corretto uso del concetto può portare a considerare la storia nelle sue giuste dimensioni, a guardare soprattutto ai grandi fenomeni che la determinano e non, come purtroppo si fa spesso oggi, agli avvenimenti effimeri di breve durata. Relativamente alla criminalità organizzata io non sostengo (unitamente a Ciconte, Forgione e Sales) che essa fosse strutturalmente presente nel Sud già nel medioevo ma che essa, evidenziatasi nei primi decenni del 19° secolo, abbia avuto nei secoli precedenti come epigoni varie figure criminali. Quanto al brigantaggio e al feudalesimo è vero che essi sono fenomeni storicamente presenti in tutta l’Europa ma il mio obiettiivo non è quello di sostenere una tesi diversa bensì sottolineare che, proprio nella prospettiva della lunga durata, questi fenomeni hanno resistito maggiormente nel Sud determinandone in larga misura l’arretratezza. Condivido, poi, la sua tesi che dopo il crollo dell’impero romano la prima area che si è risvegliata economicamente (e quindi anche socialmente) è quella settentrionale.
    Franco Pelella – 29/10/2022

    Gentile dott. Pelella, ho letto il suo contributo. Il mio giudizio non può essere obiettivo perchè la tematica così come affrontata da lei non rientra nelle mie competenze. Come le ho scritto, io mi sono interessata della questione meridionale attraverso lo studio di alcuni personaggi e mi sono occupata solo dell'Ottocento e del primo Novecento. Sicuramente ci sono spunti interessanti, ma essendo partito da così lontano nell'esaminare il problema della questione meridionale, l'analisi da lei condotta non sempre risulta lineare. Inoltre, i paragrafi, a mio avviso, non sempre sono tra di loro collegati. Ad esempio trovo interessane il primo paragrafo sulla lunga durata in storia, ma non è chiaro il suo collegamento al paragrafo successivo. Comunque, la lettura nell'insieme risulta gradevole.
    Elena Gaetana Faraci – 27/10/2022
    Cara professoressa Faraci, l’obiettivo del mio lavoro è quello di dimostrare (attraverso la citazione degli studi condotti da vari autori) la validità di una prospettiva di lunga durata nell’esaminare la questione meridionale. I vari paragrafi non sono tra di loro strettamente collegati ma essi sono intesi come una serie di esempi di vari studi che confermano la validità della mia tesi. Quanto al primo paragrafo esso va chiaramente inteso come un breve inquadramento teorico della lunga durata che serve da introduzione al discorso sulla questione meridionale.
    Franco Pelella – 29/10/2022

    Caro Pelella, ho letto il suo saggio, costruito con tutte le fonti letterarie adeguate e molto ben articolato. Purtroppo è andata così, come lei ben sintetizza, e solo con una visione di "lunga durata" si comprende come mai sia così difficile cambiare le cose nel Mezzogiorno. Io sono però ottimista, perchè i rapporti tra Italia e il Mediterraneo del sud sono ora destinati ad aumentare. Se il governo nazionale e quelli regionali sapranno cogliere le nuove opportunità in modo imprenditoriale e senza lasciarsi abbagliare dagli investimenti cinesi, e al contempo si continuerà a cercar di contenere la mafia, una svolta è ora possibile. Continui a studiare e stia in gioia,
    Vera Negri Zamagni – 28/10/2022

    Egregio dottor Pelella,
    Ecco il parere che mi ha chiesto.
    ll tema da Lei trattato è interessante e complesso. Va dalla durata del periodo storico da privilegiare all’origine del particolare carattere del Mezzogiorno e dei Meridionali, al nesso tra criminalità organizzata e società civile, ecc.
    Non credo che abbia importanza chiedersi se lo storico debba trattare quel che avviene nel lungo periodo anziché nel breve, come fanno molti storici ed economisti. Credo che lo storico debba rivivere l’evento che si è verificato in un certo momento, breve o lungo che sia, anche se permane nel tempo. Se si ipotizza che un evento recente abbia avuto origine nel lontano passato e sia permaso nel tempo, bisogna risalire alle sue origini, reperirne i dati e percorrere il lungo periodo per dimostrare la fondatezza dell’ipotesi. Se ciò avviene, il periodo storico trattato è lungo anche di secoli. Se l’evento si è verificato in un tempo breve e non si ipotizza una sua permanenza, lo storico rievoca e rivive quell’evento di breve durata.
    Si constata che il Sud d’Italia è tarato e sottosviluppato. È utile trovare che questa sua condizione e "un certo indirizzo degli equilibri (o squilibri) strutturali e sociali” siano in sostanza permanenti da secoli. Ma questo ritrovato non spiega l’essenziale. E l’essenziale è scoprire la causa o le cause di quella condizione e della sostanziale permanenza del suo indirizzo nel tempo. È essenziale scoprire chi o che cosa ha generato quelle condizioni di sofferenza che permangono da secoli e sussistono nonostante i tentativi di curarle o di eliminarle.
    L’indisciplina, il familismo, il banditismo, il brigantaggio, la criminalità organizzata, sono state e, in parte, sono annose tare. Di esse, autori di ogni estrazione, in innumerevoli scritti, hanno esaminato e raccontato ogni dettaglio fino all’inverosimile È risultata un’inutile, superflua, minuta descrizione delle stesse azioni arbitrarie e degli stessi reati, cioè delle medesime violenze e dei medesimi crimini raccontati infinite volte. Alcuni autori sono andati oltre. Nel tentativo di cercarne le cause, hanno attribuito quelle tare alla colpa del governo o al cieco influsso delle condizioni economiche e sociali. Di solito, a orientare le loro opinioni furono preconcetti ideologici e non l’obiettivo esame di dati di fatto. E solo un esame del genere, che abbia però per oggetto soprattutto il comportamento degli individui, i loro rapporti sociali, i loro modi di essere acquisiti nel tempo e non certo la loro natura, la loro indole può far luce e far giungere alla scoperta dell’essenziale.
    Il Suo lavoro è un utile contributo alla conoscenza. Con laboriose consultazioni di tesi e di opinioni di autorevoli autori offre al lettore importanti
    e fondamentali temi di cui val la pena discutere e approfondire il contenuto.
    Mi complimento con Lei e Le auguro buon lavoro.
    Francesco Caracciolo – 30/10/2022


    Attingendo ai più recenti studi sulle metodiche della storiografia, Pelella ricostruisce tutti gli step di un tema (quello della questione meridionale) sul quale si dibatte da tempo. Spesso senza risultati concreti, perché - è questo si capirà solo leggendo tutto, citazioni bibliografiche comprese - la Questione Meridionale - che poi coincide con l'isolamento secolare del Meridione dal centro-nord - nasce da molto lontano, nei secoli XI-XII, con l'era dei Comuni e la comparsa sulla scena sociale della borghesia nel centro-nord. Non mi pare ci siano novità di rilievo, se non quella - utilissima - di leggere la nostra lunga storia con una lente di lettura volta a capire prima di puntare l'indice sui veri o presunti colpevoli del Sud "tristo e cafone".
    Giuseppe Vuolo – 1/11/2022


    Egregio Dottore, anche io non sono accademico e ho letto con interesse il Suo scritto. Ma, al di là dei complimenti per come è stato strutturato ed esposto l’argomento, devo confessare di non essere in grado di giudicarlo teoricamente, in quanto seguo i fatti economici più dal punto di vista statistico-economico che storico. Tuttavia, mi permetto segnalarLe due studi sull’argomento che non sono d’accordo sulla tesi della nascita nel medioevo della questione meridionale:
    www.bancaditalia.it/pubblicazioni/...0047/index.html
    www.lavoce.info/archives/58131/la-...lunita-ditalia/
    Sono altresì convinto che noi meridionali siamo i primi responsabili della nostra situazione.
    Mi scusi per il ritardo con cui rispondo alla sua gentile richiesta e se non sono stato esaustivo nella risposta.
    Mi congratulo per la vasta produzione di studi e colgo l’occasione per salutarLa molto cordialmente.
    Luigi Ruscello – 2/11/2022

    Gentile dott. Pelella, devo precisare che da anni non mi occupo più di Mezzogiorno, né di storiografia meridionale e/o meridionalista. Detto questo, e dopo aver letto il suo saggio, mi sento di affermare che è molto ben impostato e scritto. La tesi secondo cui la "lunga durata" sia il miglior modo, se non l'unico modo, per affrontare i problemi storici mi sembra assolutamente condivisibile.
    La saluto cordialmente,
    Maurizio Lupo – 3/11/2022

    Caro Pelella, ho letto il suo scritto. Mi sembra sia la considerazione su alcuni libri recenti e meno recenti da lei letti. Ho qualche perplessità sul fatto che il tema possa essere tra quelli di "lunga durata". Ma forse su questo bisognerebbe parlare. Ho personalmente anche idee diverse sulla esistenza di una questione meridionale. Con la speranza di poterne parlare più appropriatamente la saluto.
    Luigi Musella – 6/11/2022

    Caro professor Pelella, ho letto subito con grande interesse non solo il lavoro che mi ha mandato ma anche gli altri suoi scritti che conoscevo solo in parte e che mostrano la grande attenzione che ha dedicato al percorso intellettuale di Carlo Ginzburg. In particolare ho trovato molto interessante il modo in cui si è inserito nella discussione su "Storia notturna". Anche secondo me questo libro è stato il passaggio capitale nell' itinerario delle ricerche di Ginzburg. Però debbo deluderla per quanto riguarda la mia capacità di giudicare questo suo saggio sul meridionalismo dove si avvale di osservazioni di merito di un Galasso "antropologo" per aprire nuove prospettive sul tema. Io sono un pessimo soggetto per questo esperimento perchè anche se personalmente ho cercato di capire le intuizioni e le ricerche di Ginzburg non ho mai trovato modo per farne davvero tesoro nelle mie. Mi sono dovuto accontentare di leggerlo e di considerarlo come l'autore che più di ogni altro ha dato impulso allo sviluppo di una riflessione sulla ricerca storica capace di ridarle un posto importante nel nostro orizzonte intellettuale, senza di che l'artigianato storiografico non andrà oltre lo stadio impressionistico e romanzesco del racconto più o meno acuto e più o meno brillante di ciò che scopriamo negli archivi . Le osservazioni di Galasso mi sembrano poco persuasive. Imitare Ginzburg non è facile, si può cercare di imparare da lui ma tutto ciò che io riesco a capire e a cercare di imitare è l'importanza della filologia e il precetto nietzschiano della lettura lenta. Modelli positivi su questo terreno non sono molti. Di recente ho letto un importante libro di Francesca Trivellato sulla falsa notizia dell'invenzione ebraica della lettera di credito che mi è sembrata un buon esempio di esperimento in microstoria. In definitiva, l'unico consiglio che posso darle è quello di aprire un confronto personale e una discussione con lo stesso Ginzburg .
    Grazie intanto per avermi fatto leggere questi suoi studi che mi hanno dato l'occasione di interrogarmi personalmente ancora una volta sul rapporto umano e scientifico più importante della mia vita di studioso. Ormai l'età e i problemi dei tempi che viviamo mi hanno fatto capire che è tempo di imparare a ritirarmi nello spazio dell' ultima vecchiaia.
    Cordiali saluti e auguri di buon lavoro.
    Adriano Prosperi – 10/11/2022

    Caro Pelella, ho trovato il tempo di leggere il Suo saggio con qualche giorno di anticipo rispetto a quanto avevo previsto.
    La mia impressione generale è senz'altro positiva, e nello specifico, visto che me lo ha espressamente chiesto, mi permetto di farLe le seguenti costruttive, e sottolineo costruttive, osservazioni:
    1) Il saggio coglie in pieno l'importanza delle origini della questione meridionale e del problema della lunga o breve durata di essa.
    2) A tal proposito, pur apprezzando la correttezza delle cose che Lei ricorda nel primo paragrafo riguardo al dibattito teorico generale sulle predette categorie storiografiche, sulle Annales e le partizioni braudeliane, il discorso mi sembra un po' troppo generale, conosciuto e forse anche superfluo rispetto allo specifico contenuto del saggio. Ovviamente è un mio semplice parere e nulla toglie alla giustezza di quel che Lei vi ha scritto.
    3) La sintesi dei caratteri specifici fondamentali della storia del Mezzogiorno preunitario, con i riferimenti a Galasso e Musi mi sembra molto felice, e condivido pienamente la tesi secondo cui la presenza del feudalesimo e del latifondo feudale e poi borghese sia stato il tratto distintivo e penalizzante del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord della penisola, venendo a costituire una delle componenti, anzi la componente fondamentale, della questione meridionale esplosa nelle mani dello Stato unitario nel 1860-61 col brigantaggio.
    4) Nel ricercare il punto di partenza della "questione" non andrei tuttavia oltre i termini dell'età normanna indicati da Galasso, a meno che non si voglia parlare di Storia del Mezzogiorno d'Italia e non di Storia della questione meridionale, che sono due cose non del tutto coincidenti tra loro. Al riguardo non mi convinse neppure il riferimento all'età romana che a suo tempo fece Corrado Barbagallo, appunto perché lo fece in un libro intitolato La Questione meridionale e non Storia del Mezzogiorno.
    5) Condivido in pieno anche l'inquadramento di lunga durata che Lei dà al fenomeno del brigantaggio e alle sue componenti sociali, anche se mi sembra che non abbia insistito abbastanza sull'aggravamento della tensione nelle campagne nella prima metà dell' Ottocento, proprio in seguito all'abolizione del feudalesimo del 1806. Inoltre in questa prospettiva di ridimensionamento della componente nostalgico-borbonica che Lei assume e che io condivido, forse dovrebbe confrontarsi con il volume di Carmine Pinto sul brigantaggio, che mi sembra rivaluti il ruolo del partito borbonico nella guerra civile del 1860-70, ma dovrebbe controllare se ricordo correttamente.
    6) Riguardo all'ultimo paragrafo, intitolato l’origine storica dei problemi del Mezzogiorno di oggi, Le dico francamente che mi sembra più una recensione al libro di Galli della Loggia e Schiavone che non il paragrafo conclusivo di un saggio ampio come il Suo. Se fosse una recensione andrebbe benissimo, ma come paragrafo di un saggio storico mi sembra che attribuisca al lavoro dei due illustri studiosi un'importanza e un'originalità storiografica che sinceramente non hanno, anche se li si volesse considerare nel solo ambito della corrente antropologico-sociologica dei Banfield o Allum o altri che Lei opportunamente cita.
    Sperando che questi pochi e schematici appunti possano essere per Lei di un qualche interesse, Le rinnovo le mie congratulazioni per il Suo lavoro e Le faccio i miei migliori auguri per il futuro.
    Guido Pescosolido – 11/11/2022
    Caro professor Pescosolido, La ringrazio molto per i complimenti che ha espresso. Ecco la mia risposta alle Sue osservazioni:
    1) Non sono convinto che il primo paragrafo sia “troppo generale, conosciuto e forse anche superfluo rispetto allo specifico contenuto del saggio”. Ho avvertito l’esigenza di far precedere le mie riflessioni da una parte teorica sulla lunga durata perché mi è sembrato importante far notare che anche sulla questione meridionale, così come su tutte le tematiche citate da Armitage e Guldi, c’era da fare un approfondimento calibrato sul lungo periodo se si voleva veramente andare alla radice del problema.
    2) Lei sostiene: “Nel ricercare il punto di partenza della questione non andrei tuttavia oltre i termini dell'età normanna indicati da Galasso, a meno che non si voglia parlare di Storia del Mezzogiorno d'Italia e non di Storia della questione meridionale, che sono due cose non del tutto coincidenti tra loro”. Ma il problema che mi sono posto è stato quello di capire i motivi della persistente arretratezza economica e sociale del Sud e mi sembra che niente più dell’influenza della plurisecolare e pastorale Civiltà appenninica spieghi meglio i motivi di fondo dell’arretratezza.
    3) Non penso di aver attribuito troppa importanza al saggio di Galli della Loggia e Schiavone. Il paragrafo relativo ad esso è stato messo volutamente in fondo perché il lavoro di Galli della Loggia e Schiavone è più un’indagine sociologica sull’attuale realtà meridionale che un saggio storico. Mi sembrava opportuno chiudere con una riflessione sul Mezzogiorno di oggi. L’importanza del saggio, secondo me, sta soprattutto nel fatto che esso chiarisce bene che tutto, o quasi tutto, il Mezzogiorno è caratterizzato da una mentalità extralegale e che la mentalità extralegale di oggi ha profonde radici storiche.
    Cordiali saluti
    Franco Pelella – 12/11/2022
    Bene, comprendo le Sue motivazioni.
    Cordiali saluti.
    Guido Pescosolido – 12/11/2022

    Rigorosamente ed interessante ricostruzione delle, lontane e lontanissime origini della "questione meridionale". Tematica che per me è stata sempre di grande interesse. Franco Pelella mi ha fatto conoscere studiosi a me del tutto sconosciuti e la loro lettura, per quanto riportato dall'autore, è motivo di stimolo ad approfondire, confrontare sensazioni provenienti da altre letture. Ma su questo mi avvarrò della lunga amicizia con Franco e ne parlerò di persona.
    Una sola integrazione al saggio. Dai miei studi universitari ricordo che Emilio Sereni nei suoi scritti ha trattato delle origini storiche della "questione" citando ad esempio dell'organizzazione agricola nel periodo imperiale romano. Se ricordo male chiedo venia a Franco e ai lettori.
    Franco Siani – 24/11/2022

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